Davigo: "Mani pulite un'occasione mancata. Volevo sottrarmi, poi Falcone morì"

Mani pulite ha segnato una rottura senza precedenti nella recente storia italiana: a distanza di 30 Piercamillo Davigo ne ripercorre le tappe e fa un bilancio

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Davigo, L'occasione mancata: il nuovo libro ricostruisce la vicenda di Mani Pulite, quegli anni di tensione, le indagini, il suo rapporto con Falcone e ne fa un bilancio dopo 30 anni 

"Le difficoltà che i miei colleghi e io abbiamo incontrato sono state enormi per una ragione semplice: non si può processare un sistema prima che sia caduto. All'inizio delle indagini sembrava che i guasti fossero limitati ai partiti politici (neppure tutti) e alle imprese che avevano rapporti esclusivi o prevalenti con la pubblica amministrazione. Strada facendo ci siamo accorti che il malaffare era dilagato ben oltre questi limiti".

Quello che emerse a partire dalle inchieste avviate nel 1992 fu, infatti, un quadro gravissimo. Le dimensioni e la natura degli illeciti scoperti, il fatto che esponenti di partiti, pubblicamente contrapposti, di nascosto si spartivano le tangenti, la collocazione ai vertici della politica e dell'economia di molti dei soggetti sottoposti a indagini, lo sconcerto creato nell'opinione pubblica da quanto emerso ebbero conseguenze dirompenti.

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Se il lavoro del pool venne inizialmente accolto dall'opinione pubblica con entusiasmo, poi lentamente i legami di potere si rinsaldarono e da allora l'Italia è teatro di uno scontro tra il tentativo di far osservare la legge anche ai detentori del potere politico ed economico e la tentazione di questi poteri di sottomettere gli organi giudiziari alla volontà politica. Poteva essere l'inizio di un positivo rinnovamento per l'Italia. Ma fu un'occasione persa.

Il nuovo libro di Piercamillo Davigo è disponibile in libreria dall'11 novembre per i tipi di Laterza.

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Piercamillo Davigo, biografia


 

Attualmente presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, è presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione, in servizio alla Seconda Sezione penale dal 2005. Entrato in Magistratura nel 1978, è stato assegnato al Tribunale di Vigevano con funzioni di giudice, poi dal 1981 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano con funzioni di sostituto procuratore.

Dal 1992 ha fatto parte del pool Mani pulite, trattando procedimenti relativi a reati di corruzione e concussione ascritti a politici, funzionari e imprenditori. Dal dicembre del 2000 è stato consigliere della Corte d’Appello di Milano. Tra le sue pubblicazioni, con Laterza ricordiamo: La giubba del Re (2004), La corruzione in Italia (2008), Processo all'italiana (2012), Il giudice (2015), Il pubblico ministero (2015), Il sistema della corruzione (2017).

Piercamillo Davigo, L'occasione mancata

Leggi un estratto del libro alla pagina seguente*

Introduzione 

I fili intrecciati del 1992

Mani pulite

L’inizio è cosa nota: il 17 febbraio del 1992 Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, fu arrestato in flagranza di concussione in danno di Luca Magni, titolare di una piccola impresa di pulizie.

Magni aveva ricevuto la richiesta di versare 14 milioni di lire (quale prima di dieci rate) in relazione a un appalto per le pulizie e aveva denunciato Chiesa. Il relativo procedimento era stato assegnato ad Antonio Di Pietro, il quale invitò Magni a versare metà della somma (i famosi 7 milioni ribattezzati dalla stampa, nei mesi a seguire, “la madre di tutte le tangenti”; tutti in banconote, che Di Pietro e il capitano dei carabinieri Roberto Zuliani avevano firmato dopo aver fatto annotare i numeri di serie).

L’uomo era stato munito di una microspia e di una borsa su cui era stata fissata una telecamera. Al momento della consegna del denaro tutto andò come previsto e i carabinieri intervennero e arrestarono Chiesa.


Percamillo Davigo

Mario Chiesa era un esponente del Partito socialista italiano e il 3 marzo 1992 al Tg3 Bettino Craxi lo definì, con un’espressione diventata celebre, “un mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito che in cinquant’anni – non in cinque, ma in cinquant’anni – non ha mai avuto un amministratore condannato per reati gravi commessi contro la pubblica amministrazione”.

Dichiarazione quanto mai rischiosa, sia perché è ragionevole ritenere che possa aver spinto Chiesa (sentitosi abbandonato) a collaborare con l’autorità giudiziaria, sia perché trovò smentita il 3 luglio 1992, solo quattro mesi dopo, quando lo stesso Craxi dichiarò alla Camera dei deputati: “Il finanziamento illegale dei partiti in Italia è un fatto vero e largamente noto” e “All’ombra di un finanziamento irregolare ai partiti e al sistema politico fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e concussione che come tali vanno definiti, trattati, provati e giudicati. E tuttavia bisogna dire ciò che tutti sanno: buona parte del finanziamento pubblico è irregolare o illegale”.



Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Così si passò dalla negazione di illeciti (in cinquant’anni nessun amministratore condannato) all’ammissione di un fenomeno largamente diffuso, cominciando con altre tecniche di neutralizzazione, da quella: “dov’erano prima i magistrati”, a quella “lo sapevano tutti”.

In realtà né i miei colleghi né io, pur sospettando che i casi che emergevano fossero tutt’altro che isolati, immaginavamo quello che poi emerse. Ma su questo sarà il caso, più avanti, di aggiungere qualche considerazione.

Chiesa, per usare il gergo malavitoso, il 23 marzo 1992 si “buttò pentito” e raccontò con dovizia di particolari la sua ascesa politica e il sistema di appalti e tangenti in cui era inserito.


Ilda Boccassini e Tommaso Buscetta

A seguito delle sue dichiarazioni le indagini si estesero in progressione esponenziale: Chiesa aveva chiamato in correità numerosi imprenditori che avevano ottenuto appalti dai quali affermava di aver ricevuto denaro. Costoro avevano a loro volta confessato ulteriori episodi, chiamando in correità altri politici o funzionari ai quali avevano consegnato denaro. Insomma, dall’indagine su una “bustarella” stava emergendo un vero e proprio sistema.

Stante le dimensioni che il procedimento stava assumendo, il 27 aprile 1992 ad Antonio Di Pietro fu perciò affiancato Gherardo Colombo.

Con Di Pietro avevo già lavorato nella vicenda delle “carceri d’oro” (a proposito di “dov’erano prima i magistrati”!), e già in passato mi aveva colpito la sua capacità organizzativa in un’altra vicenda relativa alla corruzione per il rilascio indebito di patenti di guida, con moltissimi imputati.

Anche Gherardo Colombo mi era noto perché, come giudice istruttore, si era occupato, insieme a Giuliano Turone, dell’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, del falso sequestro di Michele Sindona, e aveva rinvenuto l’elenco degli iscritti alla loggia massonica Propaganda 2.

In quanto a me, seguivo tutto sommato a distanza il lavoro dei miei colleghi. Nel maggio 1992 dovevo consumare una settimana di ferie arretrate e mi recai a salutare il procuratore della Repubblica aggiunto Gerardo D’Ambrosio prima di lasciare l’ufficio.


 

D’Ambrosio mi disse che lui e il procuratore Francesco Saverio Borrelli avevano pensato di coassegnarmi il procedimento in carico a Di Pietro e Colombo e mi diede una pila di verbali di interrogatorio, invitandomi a leggerli durante le ferie. La notizia non mi entusiasmò per niente, e non solo perché non avrei potuto dedicarmi, nei giorni a venire, alla lettura di qualche libro!

All’epoca – avevo 41 anni – mi consideravo un sostituto procuratore già anziano e stavo valutando di cambiare ufficio. Volevo tornare alle funzioni giudicanti chiedendo il trasferimento in Corte d’appello. Immaginai subito che l’assegnazione di quella vicenda mi avrebbe invece trattenuto ancora a lungo in Procura. Ad ogni modo, in vacanza lessi i verbali di interrogatorio e mi resi immediatamente conto che era scattato l’effetto domino delle chiamate in correità a catena e che tutte o quasi le persone sottoposte a indagini stavano confessando. Stimai che se avessi svolto quell’incarico sarei dovuto rimanere in Procura per almeno altri quattro o cinque anni e pensai che, al mio rientro in servizio, avrei chiesto che il procedimento fosse assegnato a qualcun altro, proprio in previsione della mia prossima domanda di trasferimento.

Sabato 23 maggio 1992 era il mio ultimo giorno di ferie. Vidi in televisione le terribili immagini dell’esplosione di Capaci e mi ritornò in mente la frase di Giovanni Falcone: “Ricordati che non mi accadrà mai nulla al di fuori della Sicilia”.

Pensai al suo indimenticabile sorriso, a Francesca Morvillo, agli uomini della scorta e mi vergognai di me stesso per aver anche solo pensato di sottrarmi a quello che mi era stato chiesto di fare, di venir meno al mio dovere.


 

Lunedì 25 maggio, rientrato in servizio, dissi a Gerardo D’Ambrosio che ero a disposizione dell’ufficio. Questa scelta cambiò il mio destino professionale e inevitabilmente in parte anche la mia vita privata.

In Corte d’appello ci andai otto anni dopo, nel dicembre 2000. Ero stato “ottimista” circa le dimensioni e la durata delle indagini e dei processi e dei guai che tutti avremmo passato.

Così iniziò per me Mani pulite.

Questo libro

Le indagini e i processi che i mezzi di informazione hanno chiamato Mani pulite furono un’esperienza unica nella mia vita di magistrato che mi occupò per circa otto anni (dalla metà del 1992 al 2000), ma che riverberò anche in tutta la mia successiva attività professionale.

Le dimensioni e la natura degli illeciti scoperti, la collocazione ai vertici della politica e dell’economia di molti dei soggetti sottoposti a indagini, lo sconcerto creato nell’opinione pubblica da quanto emerso ebbero conseguenze rilevanti, tanto che si parlò di fine della prima Repubblica e di nascita della seconda Repubblica.

In realtà gli elementi di continuità sono almeno tanti quanti quelli di discontinuità, anche se, improvvisamente, come nella celebre favola, all’esito delle indagini, tutti constatarono che il re era nudo.

Vedere che esponenti di partiti, pubblicamente contrapposti, di nascosto si spartivano le tangenti, scosse la mia fiducia non nelle istituzioni (che restano, mentre gli individui passano) ma in molte delle persone che le rappresentavano.

Però, ciò che emerse fu uno spaccato della realtà dei rapporti economici e di potere che caratterizzavano la vita pubblica italiana del tutto sconosciuto ai più.


 

Fu un’occasione persa per rendere più trasparente la vita politica ed economica dell’Italia, e la trasformazione delle dinamiche di corruzione ha forse persino peggiorato la situazione.

Questo libro non vuole essere “la” storia di Mani pulite: altri testi hanno meglio approfondito gli innumerevoli episodi di quella stagione, e tra questi uno sarà di frequente citato.

È il mio racconto, ovvero il racconto di uno dei magistrati che vi hanno operato. Ripercorrerò, per così dire, dall’interno ciò che più mi ha colpito e quindi mi è rimasto più impresso nella memoria.

Ho cercato di attenermi ai fatti oggettivi, anche se qualunque selezione e interpretazione dei fatti è inevitabilmente soggettiva.

Sicuramente ho vissuto un’esperienza interessante, ma “Possa tu vivere in tempi interessanti” è ritenuta essere la traduzione di un antico proverbio – e maledizione – cinese.

Il libro è diviso in due parti: la prima relativa alle indagini e ai processi, la seconda alle reazioni che vi furono.

*estratto disponibile sul sito della casa editrice Laterza