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Boccassini-Falcone: “Mi sembrava normale affidare i miei segreti a un mafioso”

Del legame tra Ilda Boccassini e Giovanni Falcone si sta scrivendo molto sui giornali, da quando il magistrato ormai in pensione ha dato alle stampe il suo libro di memorie, La stanza numero 30, pubblicato da Feltrinelli. Un legame speciale e di profondo affetto, tristemente interrotto con la tragica morte di Falcone per mano mafiosa il 23 maggio 1996.

Un mafioso, in particolare, è legato alla figura del magistrato, Tommaso Buscetta, che decise di pentirsi e collaborare con lo Stato: “Mesi e mesi di dichiarazioni che Buscetta aveva deciso di affidare solo a Falcone” come “unica forma di rivalsa contro una mafia che gli aveva ucciso figli, cognati, nipoti. Anche se non ha mai smesso di essere un mafioso e di sentirsi tale”.

Una sorta di mutuo rispetto e stima correva tra i due, che però non si diedero mai del tu nonostante si conoscessero da anni, per mantenere quel giusto distacco adeguato ai rispettivi ruoli. 

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“Quante volte” si legge nel libro “ho sentito pubblici ministeri dare del tu a un collaboratore, quante volte ho visto instaurarsi un falso rapporto amicale che, purtroppo, in alcuni casi è servito ai mafiosi per intuire le aspettative di chi li stava interrogando, fino ad adattare a tali aspettative le proprie dichiarazioni”.

Comportamenti che “favoriscono chi sa come approfittare di questo scarso rigore. Quante carriere si sono sviluppate a scapito della verità e dell’obiettività in questi ultimi trent’anni? Preferisco non pensarci, anche se solo a sentir parlare di ‘eredi del metodo Falcone sulla gestione dei pentiti’ mi si torce lo stomaco”.

tommaso buscetta
 

Quando morì Falcone, racconta la Boccassini, Buscetta espresse sincero cordoglio, e individuò in “Ilda la rossa” la figura degna di sostituire il magistrato come riferimento all’interno del programma di collaborazione con i testimoni-pentiti.

Nel primo incontro tra i due dopo l’attentato “non avevo avuto alcuna remora a piangere davanti a lui e a tutte le altre persone presenti. Ricordo il suo sguardo posato su di me: prima stupito, poi con una luce di tenerezza”, racconta Boccassini.

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In un’occasione successiva, invece, dopo un confronto tra Buscetta e Salvatore Cancemi, Buscetta chiese di parlare a tu per tu con la giovane Boccassini. “Andammo in una stanza e, senza proferire parola, si mise in ginocchio davanti a me”. Buscetta aveva saputo di un litigio tra lei e De Gennaro e la pregava di “fare pace con il dottore”. 

“Ero certa che Buscetta non ne avrebbe mai fatto parola con nessuno” si legge nel libro. “Dopo quella richiesta, riallacciai i rapporti con De Gennaro”.  E conclude: “A pensarci adesso, a distanza di anni, mi rendo conto di come quella situazione fosse anomala, paradossale, ma allora vivevo come su un altro pianeta e mi sembrava accettabile (anche se non lo era) affidare i miei segreti a un mafioso”.

Boccassini-Falcone: “Mi sembrava normale affidare i miei segreti a un mafioso”
 

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