L’impianto stellare dei paesi solari e Storia della bambina infranta: le recensioni

La recencione dei libri di Nunzio Festa e Luisa Trimarchi

di Alessandra Peluso
Libri & Editori

L’impianto stellare dei paesi solari e Storia della bambina infranta: le recensioni

La poesia unisce. Congiunge. Libera. La poesia è L’impianto stellare dei paesi solari, per i tipi di Edizioni Ensemble, di Nunzio Festa ed è anche Storia della bambina infranta, per i tipi di puntoacapo, di Luisa Trimarchi.   Ogni qualvolta approccio a un testo di poesia nutro profonda attenzione nel leggere le parole e carpire i significati addentrandomi nella “psiche” di ciascun Autore con rispetto e a piedi nudi. Occorrono silenzio e ascolto. Ed è ciò che avviene leggendo la poesia di Nunzio Festa quando «Ho deciso di togliermi la vita / sbagliata / contenuta / disagiata sbiadita come la sbadata / sbandata esigenza d’esser compreso / incompreso …»; e ancora «Il pensiero degli ultimi / dei dannati perfino / traduce / in attimi di soluzione /: un inchino alla volta / scioccata del cammino / dei cuori». Si tratta di un sentire acuto che si eleva quasi a dispetto di amori non corrisposti, di denunce a una “società di costumi” e dei consumi, privo di un dire libero senza uso di punteggiatura se non di una prevalenza di due punti, stando a dire: «Ora ascoltatemi, parlo io!». É assertivo. Dichiarativo ciò che scrive Festa con la sua “penna a sfera”, con un timbro paesaggistico tutt’altro che solare. Sia Gisella Blanco nella prefazione e sia Davide Pugnana nella postfazione, con appendice fotografica di Maria Montano, inseriscono Nunzio Festa nel filone della “Beat generation”.

Inseguendo questa verità, contrariamente alle affermazioni cantate ne L’impianto stellare dei paesi solari che sono tante, evocative, di richiesta imprecata talvolta ironica di ascolto, di sosta, traboccano interrogativi sull’esistenza, sull’amara vita, sul proprio cammino interiore.

Da un poeta in dialogo con sé e il mondo a Luisa Trimarchi che dei dialoghi ne fa nudità con Storia della bambina infranta (dialoghi-nudi)Sembra cerchi consolazione pur denunciando il dramma di una bambina uccisa che sia carnale o solo esistenziale non è dato sapere, ma qui Trimarchi non genera sconti al dramma narrato, alla violenza subìta, al cuore che è morto, a quella bambina abbandonata. Osserva Davide Toffoli nella prefazione che «si tratta di un’indagine a partire dall’utero fino ad arrivare oltre la morte stessa e che porta con sé le storie di un’unica donna […] la quale parla […] all’interno di ogni donna, purtroppo destinata a restare inascoltata». Ebbene sì, anche con Trimarchi emerge l’esigenza di essere ascoltata, la necessità che qualcuno si ponga in ascolto. É la parola in versi o in prosa che desidera con ardore l’ascolto. Qualcuno che sia lì in silenzio e sappia di te, di lui, di me, o di lei. L’urgenza di affermarsi come esistenza, di essere riconosciuto. Qui Davide Toffoli e Filippo Golia sono in accordo a considerare la poesia di Trimarchi vicina a Giorgio Caproni. L’urgenza di appartenenza è presente in entrambe le sillogi, in ambedue gli Autori e nei commentatori. Forse. Eppure la libertà di essere sé stessi e affermarsi nella propria identità è già un grande traguardo in una realtà artificiosa e viziosa, nella quale l’identità viene confusa con l’arroganza, l’essere riconosciuto come impertinenza. Le parole sono, invero, segno di distinzione, segno del proprio pensiero che il poeta anela a lasciare traccia indelebile ed è ciò che augurerete voi lettori ai giovani Festa e Trimarchi. Senza dubbio. Con pudore vi accosterete alle loro poesie come si fa dinanzi alla sofferenza, al dolore, con fede nell’ascolto e con viva speranza che la poesia sia strumento di salvezza. Come in passato per i maestri, così nel presente per gli allievi.

E allora, «All’osso: / rincorro te / e trovo me. (dice la bambina / fra sé e sé)» puntualizza Trimarchi col suo tratto distintivo di un inciso elegante atto a garantirsi un ascolto fedele; sicché Festa precisa: «IO / nella pazzia / ho imparato / a pedalare / tu / nella miseria / a galleggiare» e «dai malati di noia / clamore /: da fuggire via». Forse si appartengono senza (appar)tenere ma non lo sanno. Il miracolo della parola. Il fascino della poesia.         

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