Conte leader a metà verso la fiducia. Tutte le contraddizioni del M5s

Il legale degli espulsi Cinque stelle Lorenzo Borrè ad Affari: "Rischio espulsioni di massa per i parlamentari. Non per il capo politico"

di Paola Alagia
Politica
Condividi su:

Alla vigilia di una settimana cruciale in Parlamento sulla riforma della giustizia, il Movimento cinque stelle è sempre più stretto nei suoi paradossi.  Tanto per cominciare vige uno Statuto che sta per essere sostituito con la versione elaborata dal leader in pectore Giuseppe Conte. Per carità, si può dire che è solo questione di tempi tecnici. E’ vero, ma la tempistica, con le scadenze delle Aule e la riforma Cartabia da approvare, non aiuta il Movimento. Il paradosso più grande però è un altro: il capo politico non è effettivo. Tuttavia, da leader non legittimato si trova a gestire la prima sfida del suo non mandato. Una sfida complessa con duplice rischio per l’avvocato del popolo. Se Conte non riuscisse a ricompattare le fila M5s ne uscirebbe azzoppato, infatti, sia sul piano interno (in termini di credito e fiducia da parte di eletti e attivisti) e sia esterno e cioè quale interlocutore affidabile del governo. E’ una partita complessa ai cui risvolti guardano con attenzione anche gli espulsi dal Cinque stelle, messi alla porta proprio per non avere accordato la fiducia all’esecutivo Draghi.

Una fiducia che adesso è di nuovo sul tavolo. E’ la pistola fumante esibita dal presidente del Consiglio Mario Draghi sulla riforma Cartabia. Il premier, infatti, è stato netto nel dire che sarà possibile accogliere miglioramenti tecnici, ma non snaturare la riforma e né tantomeno mettere a rischio il cronoprogramma di approvazione stabilito a Palazzo Chigi. Ed ecco che su questo fronte rischia di esplodere l’ennesima contraddizione pentastellata. Cosa accadrebbe se il Movimento alla fine optasse per il no alla fiducia? Lorenzo Borrè, avvocato che in questi anni ha ottenuto la reintegrazione di molti espulsi del M5s, non ha dubbi: “La prassi interpretativa del Codice etico da parte del Collegio dei probiviri - spiega ad Affaritaliani.it - è sempre stata una e draconiana e cioè che i parlamentari sono sempre e comunque tenuti a votare la fiducia ai governi di cui fanno parte. Stavolta, visto che è in predicato l'ipotesi di non votarla, il corpo parlamentare pentastellato ha solo un'opzione per evitare le espulsioni di massa: uscire dall’esecutivo prima che si voti la fiducia. Con questo non voglio riconoscere la legittimità della clausola del codice etico, che continuo a considerare incostituzionale perché introduce il vincolo di mandato, ma tant'è: dopo la sequela di espulsioni, oggi i probiviri non possono smentirsi”.

Anche se un punto di caduta venisse trovato e quindi il M5s potesse rivendicare qualche risultato al tavolo della trattativa, non è tuttavia da escludere che alla fine una pattuglia di irriducibili - molti si annidano proprio in commissione Giustizia – deciderà lo stesso di votare contro. Ed ecco che una nuova grana si presenterebbe per il leader: espellerli oppure no? “In altri tempi l’interrogativo non si sarebbe posto - racconta una fonte Cinque stelle autorevole –, ma adesso c’è da pensarci su parecchio. Sembrerà un ragionamento materialistico, ma in realtà è solo realistico: l’emorragia dai gruppi significa perdere soldi che il Movimento non può più permettersi”. In punta di diritto, è sempre Borrè a spiegare che in caso di mancate espulsioni, “verrebbe meno la legittimità dei provvedimenti che hanno riguardato tutti quei parlamentari che in precedenza non hanno votato la fiducia”. Alcuni, tra l’altro, “sono sub iudice dal momento che non è stato ancora adottato un provvedimento definitivo”. Ma l’avvocato aggiunge pure che per coerenza rispetto alla riforma Bonafede “che era nel programma dei Cinque stelle, il problema non si sarebbe neppure dovuto porre. E’ questa la più grande bizzarria. Il Movimento non può votare la fiducia a meno che questa riforma non ricalchi – e così non è – quella a firma dell’ex guardasigilli. Dunque, per uscire dal vicolo cieco possono solo uscire dal Governo”.

Ironia della sorte, comunque, nel caso di una espulsione di massa, nel M5s l’unico a salvarsi sarebbe proprio Giuseppe Conte: “E’ così - evidenzia ancora il legale - : si salverebbe in quanto non parlamentare”. Attenzione, però. “Ci sarebbe subito una nuova rogna pronta a esplodere tra le mani del leader - racconta un espulso amareggiato ma ormai anche disincantato –. Nel M5s la guerra per le poltrone e per garantirsi una chance nella prossima legislatura è iniziata da tempo. Già c’è il busillis sulla deroga al secondo mandato, figuriamoci se dopo il taglio del numero di parlamentari, il Movimento vorrà riammettere gli espulsi. Significherebbe, infatti, allargare la competizione e statisticamente ridurre per ciascuno le possibilità di tornare in Parlamento”.

Insomma, quella che si prefigura in casa M5s è davvero un’estate torrida. Il termometro segna temperature che non sembrano destinate a calare. Senza contare che incombe il voto degli iscritti. E se alla fine Conte non ottenesse la legittimazione? A sentire Borrè, almeno su questo i pentastellati possono dormire sonni tranquilli: “Tralasciando quella che è a tutti gli effetti una nomina ‘nordcoreana’ – il primo presidente cioè è scelto direttamente dal Garante -, la modifica statutaria è destinata ad essere approvata qualunque sia il numero di votanti. L’unico colpo di scena potrebbe essere ritrovarsi di fronte a una maggioranza dei no, ma tenderei a escluderlo visto il corpus politico del M5s che ha sempre detto sì a tutto. Quasi per una sorta di riflesso pavloviano”.