Migranti, fallimento totale

l'opinione di Paolo Diodati
Meloni: "Per fermare gli arrivi di migranti serve una missione navale della Ue"
Politica

Manicomio Europa

"Voglio lanciare un messaggio chiaro a chi vuole entrare illegalmente in Italia...”. In tenuta non appariscente, cromaticamente dimessa rispetto alla vamp Piaciona e Sbaciucchiona, un po' ricordando il passaggio dalla sicumera dell’impettito Duce, al tono badogliano de “La guerra continua”, la nostra ha ricordato ai disperati emigranti, quello che loro già sanno, come ritornello da tanto tempo. E chi li spinge tuttora all’avventura sa pure che “la Capa”, se avesse voluto evitare il catastrofico collasso odierno, l’indecente drammatico spettacolo mostrato a tutto il mondo, non avrebbe sprecato un anno a far giri da Piaciona dappertutto, assistendo, in contemporanea, all’impennata degli arrivi, fino a volte a quadruplicarli, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.                             

Ora, guardando il collasso facilissimamente prevedibile, che fa la nostra? Invita l’amica-nemica-rivale Ursula von der Leyen a vedere insieme a Lampedusa, quello che abbiamo visto e vediamo tutti in tv. Poi andranno a pranzo insieme a parlare dell’idea geniale e nuova, della nostra “statista”: fermare a monte i trafficanti di essere umani e l’immigrazione illegale di massa. E come si realizza? Ha risposto: "Come è scritto nei nostri programmi: con una missione europea, anche navale se necessario...".

Piena com’è di sé, la Meloni non spiega come mai, se la soluzione era già scritta nei programmi, siamo a questo punto. E, soprattutto, di chi sarebbe la responsabilità di questa vergognosa catastrofe? Infine, la Meloni torna alla canzone che l’ha portata al governo e dopo alle accuse di non cantarla più: il blocco navale, chiamato “missione europea, anche navale se necessario”, missione subito definita svolta militare. Militare. 

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Su questa svolta ci vorrebbe di nuovo Totò: Totò e il respingimento dei migranti. Che farebbe Totò o chi per lui, magari l’ideatrice del rigore militare, se dalla bagnarola carica di migranti, appena avvisata la minacciosa nave europea, si tuffassero tutti, nuotando bene o male verso la più solida nave europea? Oppure se, il galleggiante stracarico di migranti, imitando la celebre Rackete, non riuscisse a frenare, sfasciandosi contro la nave militare? E quelli col motore volutamente in avaria? Tutti questi furbacchioni verrebbero trattenuti 18mesi e poi rispediti a casa loro. Ma in un anno e mezzo di vacanza-evasione a spese nostre, possono cambiare tante cose... 

Sallusti, notoriamente sempre più innamorato della Piaciona, ha titolato quello che ritiene il suo capolavoro “Smascherati i traditori”, ovvero i soliti fratelli o cugini coltelli (francesi e tedeschi), colpevoli di lavorare in direzione opposta a quella della Meloni, ovviamente, per metterci in difficoltà. Non so se l’accusa e il presunto smascheramento siano fantasie. So però che in Europa abbiamo tutti stati sovranisti, a prescindere dalle loro dichiarazioni ufficiali. In un’accozzaglia di stati concorrenti e, di fatto, fortemente sovranisti, la presenza di politiche divergenti mascherate nelle dichiarazioni ufficiali, è certamente possibile.

Ma sarebbe quasi impossibile se in Europa ci si decidesse a riprendere il discorso sulla CED (Comunità Europea di Difesa). Ho la soddisfazione d’aver convinto ieri i miei quattro amici fisici più vicini, che l’istituzione della CED, formulata negli anni 50 del secolo scorso da politici Giganti, rispetto agli attuali pigmei, chiacchieroni esibizionisti, narcisisti e miopi, avrebbe potuto risolvere alla radice, anche il drammaticissimo problema attuale dell’immigrazione.                                                                         

Perché la CED, contemplando l’istituzione di un esercito europeo e un’Europa federale, avrebbe evitato comportamenti con politiche divergenti e contrastanti, in cui alcune nazioni “lavorano” per far convergere sull’Italia i flussi migratori. La Piaciona che ignorava e ignora la storia dell’Ucraina, altrimenti non avrebbe assunto una posizione così sguaiatamente squilibrata a favore di Hollywood Zelensky, ignora anche la disgraziata bocciatura del progetto CED. Altrimenti anche lei dovrebbe essere d’accordo con Cerno, che ha detto “Da oggi non mi sento più europeo”

Se la Piaciona o Elly Schlein volessero avere un programma politico chiaro, comprensivo, vantaggioso e soprattutto dignitoso, per tutti noi, dovrebbero volere l’uscita dalla Nato. Smetterebbero d’essere dei manichini Yes man e di dire “Io sto col sonnambulo, confuso, colluso, scoppiettante (scusate, perché non chiamare anche lui e a maggior ragione, “er puzzone”?). Dovrebbero appartenere al blocco dei neutrali: di guerre ne abbiamo fatte anche troppe. 

Per arrivare a una posizione così saggia, nel tempo più breve, i politici più consapevoli, che più conoscono la storia e, in particolare, la più recente, dovrebbero fare questa proposta: torniamo 71 anni indietro! Ma non commettiamo lo stesso gravissimo errore di non realizzare una vera unione europea. Penso che i più giovani non abbiano mai sentito parlare della CED. E gli anziani che hanno vissuto la nascita della sua proposta l’accettazione e due anni dopo la sua bocciatura, crederanno che quell’idea sia morta, tant’è vero che non se ne parla più!

Infatti: “È passato nel più completo silenzio il settantesimo anniversario di un evento che segnò il momento in cui l’Europa fu più vicina a diventare uno Stato federale: momento seguito – subito dopo – dal più grave e fatale fallimento su quella strada. Proprio il 27 maggio di settant’anni fa – nel 1952, a Parigi – il Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED) venne firmato dai rappresentanti di Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Italia” (MicroMega, Michele Marchesiello, 7 giugno, 2022).

Per rendere invece la realtà, cioè la vitalità e validità di quel progetto, e ricordare anche le motivazioni della guerra attuale e la conseguente opportunità di uscire “dall’ombrello protettivo” della Nato, segue l’ottimo articolo di Giovanni Salpietro scritto nel 2014, su IL FEDERALISTA Anno LVI, 2014, Numero 3, Pagina 233.

L'ATTUALITA' DELLA CED

La firma del Trattato istitutivo della Comunità europea di difesa nel 1952 rappresenta il momento in cui l’Europa fu più vicina a diventare uno Stato federale; ristudiarne la storia può essere utile, quindi, sia per comprendere alcune dinamiche attuali legate alle difficoltà della nascita di una vera politica estera e di difesa dell’Europa, sia come modello per il rilancio di una proposta federalista.

Le recenti vicende riguardanti le Primavere arabe, la Siria e la crisi in Ucraina, hanno messo ancora una volta in evidenza come l’Unione europea sia impotente, perché priva di una vera ed efficace politica estera. Gli Stati europei non sono in grado di esprimere con una voce unica i propri interessi e le proprie posizioni nel quadro mondiale e continuano ad essere troppo dipendenti dagli Stati Uniti. In un quadro globale che diventa sempre più multipolare con l’emergere di nuovi attori come i BRICS e con il declino dell’egemonia statunitense, l’Europa non può più permettersi il lusso di non elaborare una propria strategia delle relazioni internazionali basata su una vera politica estera e di difesa.

La mancata ratifica della CED costituisce l’origine delle problematiche attuali; la soluzione di ripiego, cioè l’abdicazione alle proprie responsabilità nel quadro della NATO, ha lasciato intatte le sovranità nazionali, almeno da un punto di vista formale, ma ha di fatto rappresentato la delega, da parte degli Stati europei, agli USA del compito di rappresentare l’intero blocco occidentale. Terminata la Guerra fredda e sancita la fine dell’egemonia USA diventa però essenziale per l’Europa ridisegnare la propria posizione nel quadro globale sottraendosi alla subalternità nei confronti della politica estera statunitense, non sempre in sintonia con gli interessi europei.

La nascita della CED: il Piano Pleven e l’approccio funzionalista.

Il tema della difesa dell’Europa divenne cruciale tra il 1949 e il 1950. La fine del monopolio statunitense sulle armi nucleari e lo scoppio della guerra di Corea facevano temere la possibilità di un conflitto aperto tra URSS e USA; in tale quadro gli Stati Uniti consideravano l’Europa come il “ventre molle” del fronte occidentale. La presidenza Truman ritenne quindi il riarmo dell’Europa un punto essenziale della propria politica estera; da tale processo di riarmo secondo Truman non poteva essere esclusa la Germania occidentale.

Tuttavia, un eventuale riarmo tedesco era fortemente osteggiato dal governo francese di Pleven, il quale cercò di far valere le proprie posizioni di fronte a USA e Gran Bretagna. Alla fine del 1950 però le pressioni dell’amministrazione Truman sul governo francese si fecero sempre più insistenti; gli USA avevano già elaborato un piano, lo One Package, che prevedeva la costituzione di un esercito integrato con la partecipazione di divisioni tedesche. Al fine di evitare di essere esclusa dal tema del riarmo tedesco, la Francia si vide costretta ad elaborare una propria proposta. E’ in tale contesto che Jean Monnet ebbe l’intuizione di agganciare il riarmo della Germania Ovest con quanto era stato fatto per la costituzione della CECA.

Monnet elaborò un piano che prevedeva la costituzione di un esercito composto dai vari Stati europei da porre sotto il controllo di un’autorità sovranazionale. Il piano fu presentato da Pleven nel mese di ottobre agli alleati e venne convocata una conferenza diplomatica a Parigi nel febbraio del 1951, con il compito di affrontare il tema. Alla conferenza avrebbero partecipato Francia, Italia, Germania, Belgio e Lussemburgo; i Paesi Bassi inizialmente aderirono come osservatori e solo successivamente come Stato partecipante.

Il piano Pleven ricalcava il progetto della CECA e non andava oltre il funzionalismo; gli Stati non rinunciavano a porzioni di sovranità, ma si limitavano ad una più stretta cooperazione in ambito militare. L’autorità sovranazionale non sarebbe stata libera e indipendente dagli Stati partecipanti ma sempre soggetta al controllo dei governi nazionali poiché non disponeva di un bilancio proprio né di una vera autonomia. L’inizio dei lavori alla Conferenza di Parigi risultò essere deludente; la proposta francese non sembrava raccogliere sufficiente consenso tra i partner europei, dato anche lo scetticismo di USA e Gran Bretagna.

Solo l’Italia ebbe una posizione di cauto ottimismo sul Piano. Durante i primi mesi i contrasti tra gli interessi particolari degli Stati impedirono di raggiungere dei risultati rilevanti. A luglio la Conferenza presentò un rapporto provvisorio ai governi che lasciava ancora molti punti in sospeso. Le istituzioni previste dalla Conferenza erano quattro: il Commissariato, il Consiglio dei ministri, l’Assemblea e la Corte di giustizia. Tra queste istituzioni però solo il Consiglio dei ministri risultava essere determinante nel processo decisionale; esso era responsabile della nomina del Commissariato, stabiliva il bilancio secondo contribuzioni nazionali da determinare di volta in volta ed era l’unico responsabile sulla scelta dell’impiego dell’esercito integrato in caso di conflitto. Al Commissariato veniva delegato un mero ruolo organizzativo e di coordinamento; l’Assemblea aveva una semplice funzione consultiva.

Il contributo italiano e il superamento del funzionalismo. I movimenti federalisti avevano seguito da vicino le trattative sulla CED e fecero pressione sui governi nazionali affinché si superassero i contrasti e si cogliesse l’occasione per costruire un’Europa federale. Dopo la stesura del rapporto provvisorio Altiero Spinelli scrisse un memorandum che inviò ai capi delegazione e al governo italiano. Nel proprio commento Spinelli metteva in evidenza come il metodo intergovernativo e funzionalista che era stato adottato fino a quel momento avesse condotto a risultati insoddisfacenti; in particolare Spinelli criticò fortemente le istituzioni del rapporto, in cui il Consiglio aveva troppi poteri, e il metodo della Conferenza diplomatica che non faceva altro che mettere in contrapposizione gli interessi particolari degli Stati senza possibilità di raggiungere decisioni soddisfacenti.

Il memorandum suggeriva, invece, un approccio di natura federalista. I punti fondamentali riguardavano il fatto che: i) non è possibile mettere in comune la politica di difesa senza mettere in comune anche la politica estera; ii) il Commissariato non può essere subalterno alla volontà dei singoli Stati ma deve godere di autonomia decisionale; iii) il bilancio non può dipendere da contribuzioni volontarie degli stati partecipanti, ma deve basarsi una propria tassazione a livello europeo; iv) gli organi esecutivi della Comunità europea di difesa devono godere di una legittimazione democratica che si esprime attraverso l’elezione di un’ Assemblea con pieni poteri.

Spinelli suggeriva, infine, il superamento della Conferenza diplomatica e la convocazione di un’Assemblea costituente col compito di fondare lo Stato europeo. Alcide De Gasperi, capo del governo italiano, fu uno dei destinatari del memorandum di Spinelli. Alla ripresa dei lavori della Conferenza di Parigi l’atteggiamento della delegazione italiana divenne sempre più audace facendo propri i consigli e le riflessioni di Spinelli; lo stesso De Gasperi si impegnò in prima persona nelle trattative con i partner europei affinché la Conferenza portasse alla convocazione di un’Assemblea con poteri costituenti.

Grazie allo sforzo della delegazione italiana, alla fine del 1951 le criticità del rapporto provvisorio vennero superate seguendo il pensiero federalista. Le ultime modifiche alla bozza di trattato avvennero nel maggio del ’52: la Comunità si sarebbe fondata su un vero e proprio embrione di Stato federale. L’Assemblea eletta a suffragio universale avrebbe avuto poteri di controllo sul Commissariato e sul bilancio; il Commissariato (in forma collegiale) avrebbe rappresentato il potere esecutivo della Comunità; il ruolo del Consiglio sarebbe stato molto ridimensionato rispetto a quanto previsto dal rapporto provvisorio del ’51.

Le resistenze che avevano caratterizzato la prima fase dei lavori della CED, in particolare da parte della Francia e dei paesi del Benelux vennero meno di fronte alla validità di un piano europeo per la difesa che superava la semplice cooperazione e gettava le basi per la costruzione di uno Stato federale capace di garantire effettivamente la sicurezza dell’Europa e la sua autorevolezza sul piano diplomatico. La firma del Trattato istitutivo della CED venne accolta con entusiasmo anche da Stati Uniti e Gran Bretagna.

Le ragioni del fallimento. Nonostante la firma del Trattato il cammino per la piena attuazione della CED era stato appena intrapreso; era necessaria, infatti, la ratifica da parte dei parlamenti nazionali. Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Repubblica Federale Tedesca ratificarono il trattato tra il ’52 e il ’54; tuttavia, vista lo scarso apporto di uomini e mezzi che questi paesi erano in grado di dare in quella fase storica, la ratifica da parte dell’Italia e soprattutto della Francia risultavano determinanti. Per quanto riguarda l’Italia, l’uscita di scena dalla vita politica di De Gasperi indebolì il fronte “pro-cedista”; tuttavia non sembrava che la ratifica fosse a rischio e si attendeva la ratifica francese. Ma l’Assemblea nazionale francese votò contro la ratifica della CED: il governo Mendès aveva cercato di strappare ulteriori condizioni vantaggiose per la Francia senza successo e al momento del voto in parlamento non si pronunciò sulla posizione dell’esecutivo; gollisti, comunisti, nazionalisti, circa metà dei socialisti e una parte dei repubblicani si schierò contro la ratifica, facendo di fatto fallire il progetto CED.

Rimane da osservare che la tensione a livello internazionale si era alquanto allentata rispetto agli anni in cui si era cominciato a parlare di esercito integrato: la guerra di Corea non si era allargata ad altre realtà, rimanendo un conflitto localizzato; mentre la morte di Stalin aveva generato un clima di relativa distensione. Ciononostante, è innegabile che sia stato il riemergere di una logica nazionalista in Francia, facilitato dall’intrinseca instabilità politica della Quarta Repubblica, a causare il fallimento della Comunità europea di difesa, imprimendo una svolta al processo di integrazione europea che poté ripartire solo basandosi sul funzionalismo e sulla moltiplicazione delle autorità specializzate in ambito strettamente economico.

Il problema della difesa fu invece risolto nel quadro della NATO. È interessante osservare come Spinelli nel proprio memorandum avesse anticipato quale sarebbe stata la posizione degli Stati europei all’interno dell’Alleanza Atlantica se questi non si fossero dotati una struttura federale: la definizione data da Spinelli è di “Stati tributari del comandante atlantico”. Mantenendo le proprie strutture nazionali, gli Stati europei non erano in grado di avere un peso autonomo all’interno dell’Alleanza e avrebbero dovuto subire la volontà dello Stato più forte, cioè gli USA.

L’esperienza della NATO, sebbene abbia garantito la sicurezza europea, non può far altro che confermare la “predizione” di Spinelli. Durante gli anni della Guerra fredda gli Stati europei si sono affidati alla politica estera statunitense rinunciando, di fatto, ad avere un ruolo autonomo nel quadro internazionale. Oggi, tuttavia, il guscio protettivo statunitense non è più adeguato alle necessità europee e per l’Europa diventa fondamentale, ora più che mai, intraprendere nuovamente un percorso analogo a quello della costruzione della CED imparando dagli errori del passato.

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