La necessità di proseguire la campagna vaccinale
Secondo Colao, il problema non è il vaccino Astra Zeneca, come del resto ha sottolineato anche Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri Irccs di Milano: “per i dati di Astrazeneca si parla di 30 episodi tromboembolici su 5 milioni di vaccinati -ha affermato Remuzzi- ed è lo stesso numero di casi che ci sarebbero fra i non vaccinati”. Colao conferma il dato: “al momento il numero dei morti per trombosi, infarto e ictus è riportato simile a quello di un anno fa. L’attenzione deve restare altissima perché parliamo di eventi gravissimi, ma non dobbiamo commettere l’errore di ritenere questo effetto una diretta conseguenza del vaccino prima di averne totale sicurezza”. Il punto, secondo Colao, è che non andavano nascoste le reazioni avverse, normali nel caso di un vaccino come ha precisato anche l’assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato “quando il vaccino è approvato, è sicuro, ma non significa che non ci siano reazioni avverse”. In effetti, guardando le tabelle delle reazioni avverse registrate in Gran Bretagna su 25 milioni di vaccinati, i dati sono simili: 54.180 eventi avversi totali per AstraZeneca (su 11 milioni di vaccini) e 33.207per Pfizer Biontech (su 14 milioni di somministrazioni). Per le circa 500 segnalazioni di reazioni fatali (275 con Astrazeneca e 227 per Pfizer) dovute a una qualsiasi causa (non solo quelle tromboemboliche o emorragiche che hanno portato alla sospensione precauzionale), gli esperti inglesi stanno studiando l’eventuale nesso causa-effetto singolarmente.
La linea del principio di precauzione o quella della coerenza: non è stata osservata nessuna delle due
“Ieri è stato l’8 settembre della campagna vaccinale e in momenti di confusione come questo urge mantenere la barra dritta per non fare perdere credibilità alle istituzioni di riferimento – precisa Prisco Piscitelli, epidemiologo vicepresidente nazionale società italiana di medicina ambientale (SIMA), in staff alla cattedra Unesco per l’educazione alla salute dell’ateneo Federico II di Napoli.
“Bisognava scegliere da subito una delle due possibili posizioni: o quella del principio di precauzione, come ha fatto la Danimarca fin da subito, principio recepito nell’art. 191 dei Trattati UE per sospendere o ritirare prodotti potenzialmente pericolosi, oppure il principio di coerenza con i dati scientifici che ha usato l’Inghilterra, abbinato a un atteggiamento di massima trasparenza nei confronti dei cittadini, fornendo tutte le informazioni corrette ma senza spaventare la popolazione. Analogo atteggiamento è stato adottato da Israele, che era partito male ma ha saputo incentivare la fiducia dei suoi cittadini”.
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