Il trionfo di Parasite agli Oscar 2020. Una lotta di classe senza via d’uscita
Non è solo una commedia dark il capolavoro sudcoreano che ha stravinto gli Oscar ma anche un affresco impietoso della nostra società, senza esclusione di colpi.
Dopo il trionfo di Cannes anche Los Angeles si è accorta di Parasite e del cinema sudcoreano.
Dovrà ricredersi chi pensa a opere di nicchia, lente e noiose che usano la profondità come alibi. Guardatevi ad esempio il commovente A taxi driver di un altro regista sudcoreano, Jang Hoon, film del 2017, e capirete che Parasite non è un caso isolato.
Il cinquantenne Bong Joon Ho, dopo il Golden Globes per il miglior film straniero si è portato a casa ben quattro statuette degli Oscar, per il miglior film, miglior regia, miglior film internazionale e miglior sceneggiatura originale, con questo terrificante affresco della società mondializzata del nostro tempo.
Il consiglio è vedere il film in lingua originale con i sottotitoli. L’opera comunque dopo l’affermazione hollywoodiana sta tornando nei cinema italiani.
Il luogo dove si svolge la storia potrebbe essere qualsiasi nostra grande città. Zone abitate, divise per classi con i super ricchi in villette tutto confort e qualità e i super poveri in sottocantine fetide, da dove non è possibile capire neanche come procurarsi il cibo. Ma scaltri e implacabili come gli artigli di un felino riescono ad organizzare il loro caos negativo e installarsi nella vita della famiglia ricca, accaparrandosi ad uno ad uno l’affetto dei componenti. Una specie di squadra mimetica che si insinua nelle debolezze altrui, di chi non deve più lottare per la sopravvivenza e pensa di esserne immune, solo perché isolato nel proprio mondo ovattato, fatto di cibo bio, gioielli di lusso e inchini. Ma anche i poveri parassiti presto si trasformeranno in corpo ospitante. La fame è un lento sentire che non ha confini.
Cosa che accade nel film tra continui colpi di scena che riescono a trascendere l’orrore e la sopraffazione con l’ironia e il divertimento. Anche il caos si riesce ad organizzare, come fanno i protagonisti.
Dopo essersi aggiudicato Cannes Parasite ha scatenato così il suo urlo disperato e senza via d’uscita, quello di una società che sembra non poter andare oltre se stessa e le regole del consumo. Stessa storia alla base anche di un’altra di Bong Joon Ho, il post apocalittico Snowpiercer, dove l’umanità divisa in classi è finita a vivere su un treno che circumnaviga la terra, visto che all’esterno incombe la glaciazione. Ma se in Snowpiercer rompere gli schemi diventa possibile in Parasite l’ipotesi è solo un sogno.
I borghesi sono stupidi, nevrotici e con la puzza sotto il naso. I proletari colti e brutali, furbi e cattivi. Come in Friedrich Nietzsche la lotta per sopravvivenza non trasforma l'invidia proletaria in rivoluzione, fa fare peggio, continuando a dondolare per tutta l’esistenza tra astuzie di strada, umiliazioni e ricchezza solo sognata. Ma a tutto c’è una fine. Più o meno risolutiva.
Il film resta un affresco sornione sul progresso delle nostre società che non prospettano nulla di buono. Nessun happy ending, nessun lieto fine, solo la consapevolezza di una visione e che il mondo è ridotto a questo: l’umanità non è niente, il denaro e il potere sono tutto. Il genio di Bong Joon Ho riesce a mostrarlo nella sua crudezza con un ritmo esilarante che balla tra commedia nera e thriller.
Nel film c'è anche un po' di Italia con l’uso nella colonna sonora di In ginocchio da te di Gianni Morandi. Sembra che il regista cercasse per una scena esilarante una sonorità mediterranea e l’abbia trovata in questo vecchio disco del padre.
Dopo l’annuncio dell’Oscar è diventato di dominio pubblico che da Parasite verrà tratto un serial, dalla rete Usa Hbo.
E in Italia il film sudcoreano ha già battuto la commedia di Aldo Giovanni e Giacomo Odio l'estate. Nella sola giornata di ieri infatti ha incassato 156.858 euro arrivando a un totale di di 2.559.976 di euro. Da domani poi le copie in sala cresceranno fino ad arrivare quasi a 400. Un successo del tutto meritato.
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