Ci risiamo, banche italiane ancora alle prese con l’ombra del credito non perfoming sul business per la recessione da coronavirus. Prima dell’inizio della banking season del primo trimestre, gli analisti di Mediobanca avevano dimezzato per le prime nove banche italiane le stime aggregate dell’utile per azione per quest’anno (calo che addirittura cresce del 58% per il prossimo anno).
Così in sede di trimestrale, da UniCredit, che fino a marzo ha svalutato oltremodo i crediti non performing, hanno fatto sapere che nei prossimi mesi il focus sarà la revisione del recentissimo piano Team 23 approvato lo scorso dicembre e che non vedrà luce prima della fine dell’anno corrente.
Una revisione delle strategie che, secondo quanto annunciato la scorsa settimana dal Ceo Giuseppe Castagna, toccherà anche a BancoBpm, mettendo mano a un piano industriale presentato solo a inizio marzo, a Banca Popolare dell’Emilia Romagna e a Ubi Banca che esplicitamente, tra le righe di commento della prima trimestrale, ha indicato proprio nel rischio e nella qualità del credito le variabili chiave dell’evoluzione futura dei ricavi, tali da rendere qualsiasi tipo di forecast “complessa”.
E il campione nazionale Intesa-Sanpaolo? Nelle considerazioni che fanno gli analisti che seguono da vicino il settore del credito, anche per la prima delle banche italiane, che ha stupito i mercati con i vincenti risultati del primo trimestre, sarà inevitabile rivedere i target ipotizzati. Difficilmente con la crisi economica post-coronavirus in Italia più simile a una “U” (che non a una “V” con veloce rimbalzo post-lockdown nel secondo semestre), seppur differenziando molto bene (non geograficamente) il proprio business, è il ragionamento che si fa, Intesa riuscirà ad evitare l'onda lunga dei fallimenti e dei ritardi nei pagamenti che caratterizzerà un mercato dov'è concentrata. Andamento che farà crescere quindi oltre misura i crediti problematici.
Proprio quanto faceva notare qualche giorno fa il Financial Times che, riferendosi alle assunzioni prospettiche del gruppo guidato da Carlo Messina, insinuava qualche dubbio sulla reale validità delle previsioni sul costo del rischio per quest'anno di 90 basis point quando il diretto concorrente UniCredit, sempre per l'Italia, lo stima a 240.
Intanto, dopo aver fatto le pulci sugli accantonamenti che dunque paiono sottostimati, oggi il quotidiano della City è tornato su Banca Intesa nella sua Lex Column. Ma prendendo di mira, questa volta, l'offerta pubblica di scambio su Ubi Banca. Secondo il FT, le offerte ostili “di solito non funzionano nel sistema bancario” italiano dove ci sono “rivalità profonde” e “il consolidamento è costantemente oggetto di discussioni, ma raramente viene poi realizzato”.
Intesa, scrive il quotidiano finanziario, ha promosso la sua azione “audace” mentre la pandemia colpiva i mercati a febbraio e ha valutato Ubi a 4,9 miliardi. Ai prezzi di oggi però, calcola, questa varrebbe circa tre miliardi. Il titolo Intesa è sceso di due quinti, in linea con le banche dello Stoxx 600, mentre quello di Ubi di meno.
L'analisi ragiona sulle cosiddette clausole avverse (material adverse change, Mac): “L'impatto del coronavirus sull'Italia sembra certamente un cambiamento avverso. Ma - ricorda - chi è ricorso all'uso delle clausole Mac ha avuto un successo limitato nell'annullamento delle offerte”. Diverso, avverte, è il discorso per quanto riguarda i soci storici: “L'opposizione locale è, tuttavia, un problema più difficile da risolvere per Intesa: problema rappresentato dal Car, un gruppo di azionisti di Ubi dell'orgoglioso territorio lombardo”.
Insomma, numeri e prospettive, pare che gli analisti della City abbiano preso di mira la prima banca italiana.
@andreadeugeni
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