Bitcoin, FdI: "Tassa dal 26 al 33% sulle plusvalenze? Partita ancora aperta". E sulla regolamentazione in Italia... - Affaritaliani.it

Economia

Ultimo aggiornamento: 18:03

Bitcoin, FdI: "Tassa dal 26 al 33% sulle plusvalenze? Partita ancora aperta". E sulla regolamentazione in Italia...

L'intervista a Marcello Coppo, deputato di Fratelli d'Italia ed esperto di criptovalute

di Rosa Nasti

"Criptovalute? Un mondo che non si può fermare: ecco perché l’Italia resta un fanalino di coda nella regolazione"

Dopo il tonfo di inizio settimana, la criptovaluta più famosa del mondo, il Bitcoin, è risalita intorno ai 93mila dollari, lasciando però dietro di sé una scia di nervi tesi e portafogli sudati. In meno di due mesi il mercato ha bruciato oltre un terzo del suo valore, travolto da un'ondata di vendite come non si vedeva da tempo. Mentre il settore sembra rientrare in una fase che gli analisti americani non hanno paura a chiamare "crypto-inverno", molti parlano di una flessione più che normale, in sostanza un qualcosa di fisiologico.

Eppure, in Italia, proprio mentre i prezzi vanno su e giù come fossero sulle montagne russe, il fronte politico si muove per bloccare, o almeno provare a farlo, l’aumento delle tasse sulle cripto-attività previsto per il 2026, che dovrebbe passare dal 26% al 33%, con Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia che spingono per mantenere la vecchia aliquota, mentre la Lega vorrebbe rinviare l’aumento di un anno.

Affaritaliani ne ha parlato con Marcello Coppo, deputato di Fratelli d’Italia, ed esperto nazionale di criptovalute. Coppo al termine "crollo", quando si parla di Bitcoin, proprio non ci sta: "Solo chi non conosce Bitcoin parla di crollo", spiega. Secondo lui il paragone va fatto altrove: "Se guardiamo quanto valevano alcuni titoli dell’intelligenza artificiale e quanto sono scesi, lì sì che qualcuno avrebbe potuto parlare di bolla: alcuni addirittura sono scesi più Bitcoin. E ancora di più sono scesi i titoli di chi fa treasury su Bitcoin, perché sono costruiti come acquisti a leva. Ma io non vedo alcuna preoccupazione: bisogna guardare cosa c’è sotto e a chi lo acquista".

Insomma Coppo non si lascia impressionare dalla volatilità: "Se uno va a vedere cos'è calato nella domanda, è quella retail e c’è stato anche un po’ di scarico da parte di qualche ETF, ma da dicembre vedo acquisti più forti su Bitcoin, soprattutto da quelli che nel gergo si chiamano whale, quelli che pesano, quasi come se stessero mangiandosi i piccoli". E insiste: "Io tutta questa crisi non la vedo. Bitcoin potrebbe anche scendere ancora, non penso debba salire in automatico, ma se scende non lo farà in modo catastrofico, perché ormai tante persone lo utilizzano. Ma soprattutto quando parliamo di Bitcoin, non dobbiamo pensarlo con gli occhi degli Stati Uniti, dove hai una moneta inflazionata ma relativamente stabile; dobbiamo pensare ai Paesi dove la moneta locale perde il 20-30% l’anno, o anche il 15-20% come in Turchia, che è comunque un Paese avanzato".

Intanto in Parlamento si discute di tutt’altro: la tassazione, e degli emendamenti alla Legge di Bilancio per fermare l’aliquota sulle plusvalenze cripto al 26%. E quindi mentre il mercato trema, la politica prova a calmare le acque fiscali, ma è davvero una partita chiusa? Coppo non è affatto convinto: "Plusvalenze al 33% dal 2026? Io non la do ancora per certa. Ci sono emendamenti ammissibili, altri dichiarati inammissibili, e vediamo se con il ricorso rientrano".

Ma la parte più delicata non è nemmeno la fiscalità: è la regolamentazione. L’Italia, per ora, è rimasta inspiegabilmente indietro sul fronte delle autorizzazioni ai CASP (gli operatori cripto regolati dal MiCA), mentre in Europa sono state già rilasciate 73 licenze. "Non è pensabile che ci siano 73 autorizzazioni in Europa e nessuna in Italia, la trasparenza richiede che si incida su un eccessivo zelo interpretativo delle norme da parte di un settore in Italia", dice Coppo.

"Se non ci sono operatori italiani, non significa che gli italiani non possano partecipare al mercato: esiste la normativa europea e ci si può appoggiare ad altri operatori autorizzati che la licenza l’hanno presa altrove. Ma è assurdo che siamo gli unici senza un CASP residente, e questo anche perché abbiamo avuto un’interpretazione delle norme troppo restrittiva".

E non solo, perché secondo l'esperto, sul fronte della trasparenza, la vulgata secondo cui le cripto sarebbero un paradiso del crimine è ormai un pregiudizio grossolano: "La blockchain è molto più trasparente del circuito bancario. Nel sistema tradizionale devi chiedere informazioni agli istituti; sulla blockchain, una volta collegato un nome a un indirizzo pubblico, puoi seguire tutti i movimenti senza chiedere autorizzazioni". E aggiunge: "È un registro trasparente per definizione. Il pregiudizio secondo cui il 71% del totale di Bitcoin sarebbe usato per attività criminali è completamente falso. Se analizziamo il sistema finanziario tradizionale, il 2% dei flussi è legato al crimine. Allora chiudiamo le banche?"

E aggiunge: "È un mondo che non si può fermare: non può farlo uno Stato singolo, non possono farlo nemmeno Stati Uniti e Cina messi insieme, perché ci hanno già provato. In Italia non puoi dire 'non si fa', perché c’è una normativa europea e perché esiste un mercato enorme. Ci sono circa 3 milioni di italiani che detengono cripto-attività. È un dato che non si può negare".

Il punto, semmai, è un altro: il Paese deve decidere se vuole restare fermo, mentre il resto del mondo accelera. Ma allora come si muoverà la politica nel 2026, che si preannuncia essere un anno di grandi cambiamenti per le crypto? "Il governo si muoverà con grande attenzione, nei limiti concessi dal MiCA, che sono pochi", osserva Coppo.

"Si lavorerà sulla semplificazione e sul chiarimento delle procedure, per non rimanere l’unico Stato senza un CASP e senza un exchange residente, non possiamo restare immobili. Era stato prorogato tutto perché Banca d’Italia non aveva la regolamentazione interna adeguata per i controlli, basandosi soprattutto sui criteri bancari. Adesso che è stata fatta la norma, bisogna mettersi a posto". Ma la sfida non riguarda solo le criptovalute. "E poi c’è tutto il tema della tokenizzazione: un Paese pieno di beni immateriali come il nostro rischia solo di farsi del male se decide di chiudersi. Se decidessimo di farlo, avremmo limiti enormi su ciò che l’economia intercetterà", conclude Coppo.

Insomma crypto-inverno o no, la sensazione è che il mercato possa anche ghiacciarsi, fermarsi, ma non sparire e mentre Bitcoin continua la sua corsa a scatti, l’Italia si ritrova davanti a una scelta più semplice di quanto lo si faccia sembrare: restare spettatori, o decidere finalmente di entrare in campo.