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Economia
Coronavirus: fermare l’epidemia, far ripartire il Paese
(fonte Lapresse)

Coronavirus: fermare l’epidemia, far ripartire il Paese

Di certo c’è che il coronavirus non si è fermato, anzi si estende e già in Lombardia si annunciano nuove zone rosse e addirittura il governatore Fontana avanza al governo l’ipotesi estrema di chiudere tutta la Regione. Calma e gesso.  Ma questa è l’iceberg di quel che, a macchia di leopardo, sta accadendo nel Paese. Il recente richiamo del capo dello Stato al “senso di responsabilità e all’unità di impegno” evitando stati di ansia immotivati e controproducenti non vuol dire nascondere la realtà tanto meno sperare nei miracoli. Questa è la realtà e miracoli non se ne vedono.

Ecco perché il richiamo di Mattarella può ancora una volta suonare come un appello retorico che lascia il tempo che trova. Gli italiani temono quel che sta accadendo perché non sanno – come nessuno sa - quando e come finirà questa emergenza sanitaria, forse la peggiore dal dopoguerra ad oggi e sono sfiduciati, non credono in una classe politica priva di credibilità e autorevolezza. In queste ultime due settimane sono venuti drammaticamente al pettine i nodi strutturali di un sistema politico e istituzionale che da anni arranca senza indicare al Paese una rotta e uno sbocco adeguati alle nuove sfide nazionali e internazionali. Per l’Oms, al momento, il Covid-19 è soltanto una “epidemia” mentre per il governo tedesco è già una “pandemia” mondiale. In Italia i dati sui contagi continuano drammaticamente a salire con il triste primato di essere i primi in Europa. Senza vaccino né terapia l’unico strumento per contrastare il virus è l’isolamento e la quarantena. La debole e tardiva strategia di contenimento messa in atto dal governo non ha prodotto risultati significativi: un fallimento anche per le disarticolazioni nel rapporto fra Stato e Regioni e per la mancanza di una linea di comando unica con regole chiare e valide per tutti in tutta Italia. 

Al contempo, i partiti di opposizione si sono buttati come avvoltoi sull’emergenza strumentalizzandola per fini elettoralistici, interessati a indicare il colpevole anziché una valida soluzione. 

Ai tempi della prima Repubblica, di fronte a un’emergenza come poteva essere una calamità naturale – terremoti, alluvioni, straripamenti fiumi, siccità -  pur nella dura polemica fra i partiti, i leader nazionali, i sindaci e i militanti di qualsiasi colore accorrevano sul posto chiamando tutti a un impegno collettivo straordinario in nome di una solidarietà che non escludeva nessuno sulla base del principio: ”Prima gli interessi generali del Paese”. Idem per altre situazioni di emergenza drammatica quali gli anni del terrorismo e delle stragi quando il Paese ha sempre trovato quell’”idem sentire” capace di isolare e battere con la risposta democratica di massa i destabilizzatori e gli assassini di qualsiasi colore. Nessun partito ha pensato di guadagnare consensi e acquisire potere sulle rovine dell’Italia. E oggi? 

Ognuno tira l’acqua al proprio mulino. Così, non solo il contagio per adesso non si è fermato e il suo picco si allontana, ma, fra speculazioni, sottovalutazioni e allarmismi, si è data al mondo l’immagine dell’Italia quale “ventilatore del coronavirus” quando fonti attendibili danno oramai per certo che il nuovo coronavirus si è diffuso a gran velocità dalla Cina al cuore dell’Europa attraverso la   Germania. 

Visto il trend dell’epidemia, il rischio è che a breve i contagiati si moltiplichino mettendo in crisi il sistema sanitario nazionale. C’è poi la questione sociale e la questione economica, due facce della stessa medaglia che, senza una adeguata strategia politica, possono portare il Paese sul crinale del disastro. Non è allarmismo. E’ realismo. Come in ogni guerra, mentre si combatte per sconfiggere sul campo il nemico, al contempo si pensa al dopo, a come ripartire, come ricostruire sapendo che il Paese è ferito e la sua immagine nel mondo è fortemente incrinata. L’Italia rischia di rimanere fra l’incudine della crisi economica e il martello del coronavirus. Serve una visione e una gestione nazionale e unitaria della grave crisi in corso: ciò vale per il governo e i partiti di maggioranza che per le opposizioni. Non è questo il momento per dare le pagelle a Conte e tanto meno per disegni astrusi e trame di palazzo destabilizzanti. Pur con i suoi limiti, il governo c’è e deve governare questa situazione di emergenza, fra le più gravi dal 1945 a oggi.  Il collante che tiene unito il Paese è debole ma nessuno può tentare strappi. Guai a chi gira col cerino acceso nella polveriera.         

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