Economia
Evasione fiscale, archiviato Andrea Pignataro: il secondo uomo più ricco d’Italia "convince" i giudici con un fascicolo di documenti
Il giudice di Bologna archivia Andrea Pignataro: per il fondatore di Ion Group, accusato di evasione da 1,2 miliardi, il centro dei suoi affari non era in Italia

Evasione fiscale, archiviato Andrea Pignataro: per il giudice il miliardario non aveva la residenza in Italia
Andrea Pignataro, 55 anni, bolognese, fondatore del colosso finanziario Ion Group e secondo solo a Giovanni Ferrero nella classifica dei patrimoni italiani, non ha convinto i giudici con un assegno, ma con i documenti.
Migliaia di documenti, per la precisione. Compresi i piani di volo del suo jet privato. L’obiettivo era semplice. Dimostrare che lui in Italia, in sostanza, non c’era mai e che quindi non poteva essere accusato di avere qui la sua residenza fiscale. Ma facciamo un passo indietro.
L’inchiesta, nata da un accertamento della Guardia di Finanza, lo accusava di omessa dichiarazione dei redditi tra il 2013 e il 2023. Nel dettaglio, come riporta il Corriere della Sera, secondo l’Agenzia delle Entrate, Pignataro avrebbe dovuto al fisco italiano oltre mezzo miliardo di euro di imposte non versate, cifra che con interessi e sanzioni saliva a 1,2 miliardi. Numeri da capogiro che avrebbero potuto portarlo a un processo e, potenzialmente, fino a cinque anni di carcere.
Ma la storia è finita diversamente. Dopo un’udienza lampo, il giudice delle indagini preliminari Alberto Ziroldi ha deciso di archiviare il caso, accogliendo la richiesta della Procura di Bologna. Il motivo? "Impossibile dimostrare il dolo", ossia la volontà consapevole di evadere. Tradotto: non c’erano prove sufficienti che Pignataro avesse mentito sapendo di farlo.
A pesare sulla decisione non è stato solo il maxi-assegno da 280 milioni di euro firmato qualche mese fa per chiudere il contenzioso tributario con l’Agenzia delle Entrate, il più alto mai pagato da una persona fisica in Italia, e superiore persino ai 175 milioni complessivi sborsati dagli eredi Agnelli-Elkann.
La chiave è stata un’altra: il giudice ha riconosciuto che Pignataro non aveva la sua base operativa in Italia. Nei documenti depositati dai legali, si legge che "gli interessi economici del gruppo erano localizzati principalmente all’estero" mentre la presenza in Italia "risultava circoscritta a esigenze di natura familiare". E infatti, fra i 35 miliardi di valore complessivo delle partecipazioni di Ion Group, solo il 4% del fatturato proveniva da società italiane. Un dato che spazza via l’idea di un centro d’affari radicato nel Paese.
Ma a sostegno della difesa, c’erano anche le rotte del suo jet privato: una vita passata più in aeroporto che in salotto. E se la legge, come ha riconosciuto il gip, è stata negli anni ambigua e piena di zone grigie sul tema della residenza fiscale, difficile imputargli una colpa che forse Pignataro non sapeva nemmeno di avere.
Insomma questa storia resta un paradosso tutto italiano: per provare di non essere residente, Pignataro ha dovuto dimostrare di non fermarsi mai, con decine di migliaia di chilometri di voli tra Stati Uniti, Cina, Londra e Svizzera. Ma alla fine, tutto è bene ciò che finisce bene.