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Economia
Fattura elettronica: rivoluzione o flop annunciato?

L’Italia ha alti livelli di evasione, in particolare dell’Iva e, a cascata, dell’Irpef e dell’Ires. La fattura elettronica consegna al fisco informazioni che aiutano a contrastarla. Ma solo se l’amministrazione è effettivamente capace di utilizzarle.

Costi da fatturazione elettronica

L’introduzione dell’obbligo di emissione della fattura elettronica dal 1° gennaio 2019 sta creando in molti contribuenti e intermediari una sensazione che non è eccessivo definire di panico. La combinazione di istruzioni complesse, informazioni mancanti, adempimenti e costi da sostenere è notevole, e la loro percezione è ancora peggiore.

L’amministrazione finanziaria si sforza di tranquilizzare i contribuenti e decide interventi concreti – dalla possibilità di emissione fino al momento della liquidazione dell’imposta senza sanzioni, agli incentivi fiscali per l’adozione delle innovazioni tecnologiche fino a vere e proprie esclusioni dall’applicazione dell’obbligo. Ma è difficile, oggi, non ipotizzare che l’applicazione della norma abbia comportato e comporterà, per usare un’espressione accademica e un po’ eufemistica, notevoli costi di adempimento privati – a carico dei contribuenti – e ingenti costi pubblici – a carico dell’amministrazione finanziaria.

È quindi lecito porsi la domanda se con questi costi, i benefici saranno giustificati. La risposta implicherebbe di prendere in considerazione (almeno) due aspetti: la maggiore efficienza dei processi di organizzazione e gestione digitalizzati rispetto a quelli analogico/cartacei (sia per i contribuenti sia per l’amministrazione finanziaria) e gli impatti positivi sulla riduzione dell’evasione fiscale. Qui ci occupiamo solo del secondo aspetto.

Uno strumento contro l’evasione?

L’idea di fondo è piuttosto intuitiva. L’Italia è caratterizzata da elevati livelli di evasione, in particolare dell’Iva e, a cascata, dell’Irpef e dell’Ires. L’evasione dell’Iva è particolarmente forte “a valle”, ovvero nelle transazioni B2C (tra impresa e consumatore), ma si origina spesso “a monte”, nelle transazioni B2B (tra imprese). A sua volta, l’evasione nelle transazioni B2B può avvenire con il consenso di entrambe le parti – venditore e compratore – oppure senza consenso. In quest’ultimo caso, emerge dal disallineamento degli importi dichiarati dal fornitore e dal cliente, che però possono dipendere anche da semplici e innocui errori. Se l’amministrazione finanziaria individua tempestivamente il disallineamento, può intercettarlo e agire in modo preventivo, suggerendo la correzione dell’errore o dissuadendo il contribuente dall’evasione. Il ragionamento è quindi simile a quello già proposto a giustificazione del cosiddetto spesometro: il tentativo è quello di ricostruire una sorta di matrice generale degli scambi B2B identificando tutte le celle delle matrice in cui c’è qualcosa di anomalo e poi costruire un dialogo tra amministrazione e contribuente per capire se quell’anomalia sussiste davvero e se è frutto di errore o di evasione.

Il salto di qualità compiuto nel passaggio dallo spesometro alla fattura elettronica è dovuto alla certezza: la fattura è un documento contabile vincolante, i dati comunicati ai fini dello spesometro sono un semplice adempimento fiscale spesso compiuto con leggerezza; alla tempestività: dell’informazione fornita: lo spesometro veniva inviato vari mesi dopo la chiusura del periodo fiscale, la fattura elettronica va trasmessa entro il periodo di liquidazione dell’Iva infrannuale; nonché alla sua completezza: la fattura contiene una serie di dati in più rispetto allo spesometro.

Il contribuente evasore dovrebbe essere dissuaso dal fatto di sapere che l’informazione manipolata che sta trasmettendo viene incrociata in tempo quasi reale con l’informazione vera (o meno manipolata) trasmessa dalla controparte. Ma è evidente che l’effetto spontaneo è limitato perché se il contribuente evasore si rende conto che l’amministrazione finanziaria acquisisce i dati dalla controparte, ma poi non li utilizza in alcun modo, non cambierà i propri comportamenti, o lo farà solo temporaneamente. Inoltre, il contribuente potrebbe essere spinto a reagire cambiando il proprio comportamento e concordando un livello di evasione con la controparte: la trasformazione dell’evasione senza consenso in evasione con consenso renderebbe l’operazione quasi del tutto inutile (quasi, perché parte dell’Iva precedentemente evasa lungo la catena di produzione e scambio del bene potrebbe essere in questo modo riassorbita).

Diventa quindi evidente che l’utilità effettiva della riforma, ai fini del contrasto dell’evasione, dipende in modo cruciale dalle capacità dell’amministrazione di usare attivamente le informazioni, il che implica una notevole capacità di gestione e analisi dei comportamenti, in cui bisogna distinguere gli errori dalla volontà evasiva.

Si tratta di una sfida notevole per l’Agenzia delle entrate che solo ora inizia a riassorbire parte del personale perso dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha tolto le funzioni dirigenziali a centinaia di funzionari. Inoltre, l’Agenzia potrebbe ulteriormente risentire del blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni per il 2019 che sembra essere stato inserito nel maxiemendamento alla legge di bilancio in approvazione in queste ore. Il blocco potrebbe impedire all’Agenzia di acquisire quelle nuove competenze (informatici, analisti di dati, statistici) che sono indispensabili per usare concretamente questi dati. Né è ancora chiaro quali possibilità di uso dei dati verranno consentite all’Agenzia dal garante della privacy: se le informazioni aggiuntive rispetto allo spesometro non dovessero essere utilizzabili, buona parte della carica innovativa verrebbe persa.

*Da Lavoce.info

Come si vede siamo a un bivio tra una riforma epocale e un possibile fallimento che tornerebbe indietro come un boomerang ad affossare le possibilità di adottare anche in Italia le strategie più avanzate nel contrasto dell’evasione.

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