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Economia
Fca Marchionne, tutte le sciocchezze dei giornali sulla Fca di Marchionne

 

È triste, ma a quanto pare inevitabile. Il sipario è appena calato sulle vicende umane e imprenditoriali di Sergio Marchionne e già il “dibattito” – lo scrivo tra virgolette per segnalarne la parodistica assurdità – si è scatenato. Non la riflessione critica basata sui fatti, bensì il cicaleccio che si trasforma in gazzarra per diventare infine puro e semplice dileggio, in ossequio al triste monito di Umberto Eco sul trionfo degli imbecilli su internet. Un “dibattito” che oscilla tra l’ignoranza documentale e la disonestà intellettuale, testimonianza perfetta della nostra arretratezza culturale in tema di economia, società e innovazione. Ancorati tenacemente al passato come patelle alle rocce del mare, ci rifiutiamo di prendere coscienza del colossale cambiamento in atto e, come i gasteropodi che popolavano i bassi fondali della Padania preistorica, corriamo il rischio di trasformarci in Dolomie. Cambiamento, innovazione, crescita: questo è il contributo di Sergio Marchionne e la sua vera eredità: il capitalismo moderno è continua distruzione creativa. Chi non lo comprende puzza già di cadavere.

 

Qui di seguito, ecco lo “sciocchezzaio” che sì è scatenato a proposito di Marchionne

 

1. Ha ammazzato Fiat, una delle poche grandi aziende italiane

Quando Marchionne prese le redini, Fiat era un morto che camminava. Nel triennio 2002- 2004 Fiat perse 7,7 miliardidi euro. Come Marchionne spiegò a Gianluigi Gabetti pochi giorni dopo il del suo insediamento, Fiat era tecnicamente fallita poiché perdeva due milioni di euro al giorno. Marchionne è entrato Fiat quando l’azienda fatturava 5,9 miliardi di euro. L’ha trasformata in un Gruppo da 62 miliardi di euro.

 

2. Ha regalato la Fiat agli americani

È vero il contrario. Nel 2008 Chrysler fallì e, secondo la legge americana, divenne di proprietà del Governo il quale cercò disperatamente di sbarazzarsene proponendola agli altri costruttori di auto e ricevendo solo dinieghi scandalizzati: è un rottame, dicevano. Anche Fiat era nei guai: oltre al peso dei debiti, l’azzoppava la crisi congiunturale dei mercati dell’auto. Marchionne aveva già compreso che per restare a galla era necessario crescere di taglia e riuscire a produrre almeno 6 milioni di auto all’anno; per questa ragione propose al Governo americano l’acquisizione di Chrysler dopo che questo aveva stanziato finanziamenti per un totale di circa otto miliardi di dollari. Fu così che Marchione “portò a casa” tre risultati: crescita produttiva, acquisizione di una grande Casa automobilistica sulla via del risanamento e, ultimo ma più importante di tutti, l’accesso al mercato americano con un brand americano.

 

3. Sulla pelle degli operai

Marchione si è sempre detto stupito di un fatto. Non capisco, diceva, come mai gli operai americani mi ringraziano perché ho salvato loro la pelle, mentre in Italia vogliono farmi la pelle.

Dalla parte degli operai. Fiat nel 2005 ha adottato la metodologia WCM – World Class Manufacturing. Questa metodologia produttiva è la sintesi integrata del TPM (Total Productive Maintenance) della Lean Manufacturing (Produzione snella) e del Total Quality Management. Applicare il WCM significa creare gruppi di lavoro che affrontano le problematiche produttive, logistiche, qualitative, di sicurezza e organizzative, sulla base della loro incidenza economica. Le attività di tutti i team sono orientate alla realizzazione di progetti i cui obiettivi sono: zero difetti, zero guasti, zero incidenti e zero scorte. Al primo posto della logica WCM c’è la sicurezza sul posto di lavoro e lo sviluppo delle competenze del personale.

Risultato? Tra i 180 stabilimenti nel mondo che applicano il WCM, Pomigliano si è classificato al primo posto, diventando anche quello più efficiente d’Italia. Proprio Pomigliano, la “pecora nera” per assenteismo, conflittualità, bassa produttività e qualità da terzo mondo. En passant ricordo come nel 2010 gli oprerai di Pomigliano votarono a larga maggioranza per il piano Marchionne che mirava proprio a migliorarne l’efficienza. Dal 2015 FCA grazie al WCM paga un premio di produttività: nel 2017 in media è stato di 1.320 euro. Più professionalità, più produttività = premi economici e più sicurezza del posto di lavoro.

 

4.  Ha delocalizzato le fabbriche

Fiat e Fca non hanno mai delocalizzato la produzione. La strategia è consistita nel mantenere le produzioni a minor valore aggiunto nei paesi dove il costo del lavoro è più basso, sviluppando le produzioni premium in Italia dove il maggior costo della manodopera è giustificato da una più elevata qualità costruttiva. Gli stabilimenti aperti all’estero (Serbia e Cina) sono stati sovvenzionati dai rispettivi Governi.

 

5. Ha portato Fiat fuori dall’Italia

Nel 2014 trasferendo la sede fiscale ad Amsterdam e il domicilio fiscale a Londra e dopo aver completato l’acquisizione di Chrysler, Fiat diventa Fca. Un’impresa – è importante ribadirlo di tanto in tanto - votata al profitto, non una onlus. In quanto tale ha il dovere/diritto di individuare le strategie ottimali che nel rispetto delle leggi le garantiscano di fare ricavi e di ridurre i costi. Una logica sposata dalla totalità dalle imprese industriali contemporanee come Amazon, Apple, Google. Imprese di successo, come appunto è diventata oggi Fca, grazie soprattutto alla guida di Marchionne.

@paninoelistino

Tags:
fca marchionne





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