Marelli, il tramonto triste di un pezzo di industria italiano - Affaritaliani.it

Economia

Marelli, il tramonto triste di un pezzo di industria italiano

Poche scuse: la gestione dei fondi che mirano solo al risultato spesso depaupera il tessuto manifatturiero italiano in via definitiva

di Marco Scotti

Il commento

Un gioiellino che finisce con i libri in tribunale (in questo caso, chiamarlo Chapter 11 non rende meno amara la situazione); migliaia di lavoratori a rischio; il sapore amaro di un altro pezzo di industria automotive che scompare, quasi come se non fosse mai esistito. È una storia che si ripete a ritmo costante, e questa volta tocca alla Marelli, splendido esempio di un’eccellenza italiana immolata. Nel 2019, per oltre sei miliardi, Fca si libera dell’azienda che entra nell’orbita dei giapponesi di Kansei, a loro volta parte del gruppo Kkr.

Le casse dei nipponici non sono esattamente floride, hanno miliardi di debiti e finanziano la stessa operazione a debito. Risultato: il sesto produttore al mondo di componentistica lentamente si affloscia fino a portare i libri in tribunale nei giorni scorsi.

Che cosa succede ora? L’hedge fund SVP ha già dichiarato che è pronto a tentare il salvataggio, ma a che prezzo? In Italia sono a rischio almeno 6000 persone, che vanno ad aggiungersi alle tante altre che vengono improvvisamente dismesse, dall’oggi al domani, come fossero un vecchio paio di calzini.

Di chi le colpe? Degli Agnelli, come al solito, che hanno mollato l’ennesimo pezzo della loro storia per concentrarsi su altro? Forse, ma anche di chi compra pezzi di Made in Italy con il solo scopo di lucrare. E di chi aspetta come un falco per strappare condizioni eccellenti per inglobare un ex gioiellino. SVP ha già dichiarato che è pronta a entrare nella partita per ripianare gli 1,1 miliardi di debito concedendo la linea di credito necessaria per portare avanti l’attività aziendale. E, se in 45 giorni nessun altro si farà vivo, per diventare proprietaria. 

Piangono anche Stellantis e Nissan,  e non solo. La documentazione evidenzia che Marelli ha un’esposizione debitoria nei confronti di Stellantis pari a circa 454 milioni di dollari, equivalenti a quasi 393 milioni di euro al cambio attuale, e verso Nissan per ulteriori 313 milioni di dollari. Si tratta in entrambi i casi di debiti non garantiti: ciò significa che tutti i creditori sono chirografari e, quindi, pur avendo un credito, non dispongono di alcun diritto privilegiato sui beni della società in caso di insolvenza. In altre parole, qualora si arrivasse a un fallimento, il rischio concreto per i creditori sarebbe quello di non recuperare nulla. L’elenco dei soggetti coinvolti è ampio e comprende, oltre a Stellantis e Nissan, numerosi costruttori e fornitori di componentistica. Tra i primi dieci creditori figura al terzo posto Bosch, con un credito di poco superiore ai 45 milioni di dollari, seguita da Mazda (30,1 milioni), Granges (26,14 milioni), Tesla (22,2 milioni), Teksid (21 milioni), Nissin Kogyo (14,3 milioni), Basf (14,3 milioni) e Macnica (14,1 milioni). L’elenco prosegue con Renesas (11,5 milioni), Mitsubishi (10,3 milioni), Suzuki (9,9 milioni), Tiberina (8,97 milioni) e Valeo (7,54 milioni).

Le difficoltà di Marelli non sono recenti. Già nel 2022 la società aveva affrontato una rilevante ristrutturazione del debito, con una riduzione degli obblighi finanziari di quasi il 40% in seguito al crollo dei ricavi provocato dalla pandemia di coronavirus; in quella fase, KKR fu costretta a intervenire con un’iniezione di liquidità pari a 650 milioni di dollari. L’attuale crisi trova origine nelle difficoltà di due dei principali clienti di Marelli, ovvero Nissan e Stellantis. La contrazione degli ordini ha determinato l’apertura di negoziati con i creditori, spingendo l’azienda a rifinanziare il debito e a ricercare ulteriori apporti di capitale. Tra i creditori esteri, che detengono complessivamente il 50% del debito di Marelli e che fanno capo, come noto, a Strategic Value Partners, figura anche la banca tedesca Deutsche Bank. Secondo quanto riportato dal Financial Times, KKR sarebbe intenzionata a disimpegnarsi da Marelli.

Non sarà colpa di Kravis e soci se oggi Marelli ricorre al Chapter 11. Ma è evidente che intorno all’industria italiana tira una brutta aria, con fondi e avvoltoi pronti a cogliere le occasioni migliori, a depauperare il tessuto manifatturiero e a lasciare a casa migliaia di lavoratori. Con buona pace di tutti.

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