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Economia
Nomine, chi vince e chi perde: Donnarumma il grande sconfitto, Salvini al top
Paolo Scaroni

I vinti

Stefano Antonio Donnarumma esce con le ossa rotte da questa partita. Sembrava dovesse diventare il capo di Enel, benedetto dalla premier. E invece si ritrova fuori anche da Terna, azienda che ha ben guidato per un triennio, e con uno “strapuntino” di scorta come Cdp Venture Capital. Un magro premio di consolazione. Oltretutto, andando in Via Goito esce anche dalla possibilità di guidare Cdp l’anno prossimo, a meno che questa decisione non sia un modo per svolgere un corso accelerato di finanza. Paga, forse, la sua eccessiva vicinanza al Movimento 5 Stelle, una "ferita" che nessuno, neanche la premier, è riuscita a sanare. D’altronde, i segnali che qualcosa fosse cambiato erano arrivati un mese fa, quando Donnarumma ha partecipato a un roadshow nel Regno Unito in cui già parlava da nuovo capo di Enel. Una mossa azzardata che non è piaciuta né agli investitori né, evidentemente, al governo.

Giorgia Meloni non esce sconfitta, ma fa un bel bagno di “realpolitik”. Per assurdo, la maggioranza è più forte ora di prima. Perché tutte le anime sono state rappresentate e non c’è più motivo di tensioni. Ora il terreno di scontro si sposterà probabilmente sulla Rai, dove la sostituzione di Carlo Fuortes dovrebbe tornare d’attualità a breve. Una Meloni quindi meno “donna sola al comando” e più leader di una squadra che sembra nuovamente compatta e pronta alle sfide che l’attendono. Soprattutto in Europa, con la "grana" Pnrr ancora tutta da risolvere. 

Escono sconfitte anche le donne. Intendiamoci: aver conferito l’incarico di amministratrice delegata di Terna a Giuseppina Di Foggia è un bel segnale, visto che è la prima volta che succede. Ma su dieci caselle “big” da riempire (cinque presidenze e cinque poltrone da AD) solo due finiscono alle donne, trattate ancora una volta più come panda da tutelare (“oh, come ci vorrebbe una femmina al comando”) che non come persone capaci. Per intenderci: nel 2014, l'allora governo Renzi è vero che non diede il bastone del comando a nessuna donna, ma consegnò tre presidenze (Marcegaglia, Todini, Grieco) a manager "rosa". Insomma, la via per la parità è ancora molto lunga. 

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