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Economia
Smart working, da forzato a scelto. A regime 5,35 mln di lavoratori

Secondo una ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, il regime di smartworking imposto dall'avanzare dell'epidemia da coronavirus, è destinato a rimanere nella quotidianità degli italiani. Post emergenza probabilmente 5,35 milioni di lavoratori continueranno a lavorare da casa. Di questi 1,72 milioni nelle grandi imprese, 920 mila nelle Pmi, 1,23 milioni nelle microimprese e 1,48 milioni nelle Pa. Secondo lo studio presentato durante il convegno "smart working il futuro del lavoro oltre l'emergenza" si parla di del 97% delle grandi imprese che hanno usufruito del lavoro agile nel periodo del lockdown totale, il 94% delle pubbliche amministrazioni italiane e il 58% delle Pmi, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori. Circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570 mila censiti nel 2019. L'analisi mette in luce come per il 58% delle grandi aziende,  il 28% dei lavoratori e  il 33% delle organizzazioni i manager non erano preparati a gestire il lavoro da remoto.


"L'emergenza Covid19 ha accelerato una trasformazione del modello di organizzazione del lavoro che in tempi normali avrebbe richiesto anni, dimostrando che lo Smart Working può riguardare una platea potenzialmente molto ampia di lavoratori, a patto di digitalizzare i processi e dotare il personale di strumenti e competenze adeguate", afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell'Osservatorio Smart Working. "Ora - prosegue - è necessario ripensare il lavoro per non disperdere l'esperienza di questi mesi e per passare al vero e proprio Smart Working, che deve prevedere maggiore flessibilità e autonomia nella scelta di luogo e orario di lavoro, elementi fondamentali a spingere una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Bisogna mettere al centro le persone con le loro esigenze, i loro talenti e singolarità, strutturando piani di formazione, coinvolgimento e welfare che aiutino le persone ad esprimere al meglio il proprio potenziale".
"Nell'emergenza abbiamo acquisito rapidamente consapevolezza dei vantaggi del lavoro agile e abbiamo avuto l'opportunità di sperimentarlo su vasta scala, pur se in una forma atipica - dice Fiorella Crespi, Direttore dell'Osservatorio Smart Working - il rischio, però, è di trattarlo come un obbligo normativo o una misura temporanea ed emergenziale: si tratta invece di un'occasione storica che ci porterà verso un 'New Normal', con benefici non soltanto nel lavoro, ma sull'intero ecosistema di servizi, città e territori". 
Nonostante le difficoltà, questo smart working atipico ha contribuito a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 71% delle grandi imprese e il 53% delle Pa), a ripensare i processi aziendali (59% e 42%) e ad abbattere barriere e pregiudizi sul lavoro agile (65% delle grandi imprese), segnando una svolta irreversibile nell'organizzazione del lavoro.


A settembre gli smart worker sono scesi a 5,06 milioni suddivisi in 1,67 milioni nelle grandi imprese, 890 mila nelle Pmi, 1,18 milioni nelle microimprese, 1,32 milioni nella Pa: in media i lavoratori nelle grandi aziende private hanno lavorato da remoto per la metà del loro tempo lavorativo (circa 2,7 giorni a settimana), nel pubblico 1,2 giorni a settimana.
Per adattarsi alla "nuova normalità" del lavoro, il 70% delle grandi imprese - spiega l'Osservatorio - aumenterà le giornate di lavoro da remoto, portandole in media da uno a 2,7 giorni alla settimana, una su due modificherà gli spazi fisici. Nelle Pa saranno introdotti progetti di smart working (48%), aumenteranno le persone coinvolte nei progetti (72%) e si lavorerà da remoto in media 1,4 giorni alla settimana (47%), rispetto alla giornata media attuale.
 

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