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Economia
Stop telelavoro: si torna in ufficio. Da oggi solo contrattazioni individuali

Finita la cuccagna per i telelavoratori: si torna in ufficio

 

L’Italia freme. L’Italia è in fermento. Non solo per Jannik Sinner, che raggiunge quasi il tetto del mondo del tennis ma anche, più prosaicamente, per l’inizio della fine dello smart working, un trauma che sta sconvolgendo una nazione.

Fine per il lavoro privato e da oggi anche per i genitori under 14 e fragili.

Finiti i bei tempi di video - chiamate dal mare o dal centro massaggi o le inquadrature a mezzobusto perché sotto la gente stava in mutande o peggio.

Non ci saranno più scene imbarazzanti con mugolii sospetti, come è avvenuto in commissione antimafia qualche giorno fa.

Quello di ieri è stato l’ultimo giorno di lavoro da remoto e quindi dall’uno, diciamo dal due aprile tutti in ufficio, fatta salva la possibilità degli accordi individuali tra lavoratori e azienda.

Una misura normale in un Paese normale, ed infatti quello che è già successo dopo l’epidemia di Covid in tutto il mondo.

Ma poiché siamo in Italia già si registrano le prime scene di terrore da lavoro vero, altro che guerre e bombe.

Dovete annà a lavorà! Dovemo tutti lavorà. Bisogna annà a lavorà…!”, così si esprimeva un esilarante Paolo Panelli, di professione falegname, nel film “Il Conte Tacchia” con Enrico Montesano e regia di Sergio Corbucci.

Intendiamoci, qualcuno che lavorava davvero in smart c’era ma il punto era che ce ne erano pure molti che la prendevano sportivamente, diciamo così.

Quindi, per attutire il trauma, scendono addirittura in campo gli Psicologi con David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine:

"Io credo che non si deve generalizzare sull'uso dello smartworking, ci saranno persone che subiranno questa decisione e altri invece che vivranno meglio il ritorno totale in presenza. Il tema dello smartworking non deve essere liquidato come un tema di emergenza, ma dovrebbe far parte di una riorganizzazione complessiva in cui si tiene conto delle esigenze del lavoratore e del datore. Diciamo che l'optimum è una forma mista, in presenza e in remoto".

Sarà…, ma quelli in smart che conosco io sono tutti in ambasce.

Il capo degli psicologi però deve aver seguito un corso di “maanchismo” di Walter Veltroni perché ci dice che non c’è una risposta netta alla domanda se il ritorno in presenza sia un bene o un male. È tutta una sfumatura, un relativismo, un alternarsi ambiguo di luci e ombre, un pensiero debole da far svenire anche Massimo Cacciari.

Il  “Ma anche” regna sovrano:

"Rispetto a quello che noi abbiamo potuto osservare mantenere un certo livello di presenza all'interno dei contesti lavorativi è un fatto importante. Ma non c'è una risposta netta alla domanda 'meglio smartworking o tutti in ufficio?', non è un sì o no. Mentre si deve tener conto che oggi il lavoro da remoto deve essere una opzione offerta al lavoratore. Si può pensare a metà giorni in presenza e l'altra meta a casa. Abbiamo bisogno flessibilità per le esigenze psicologiche del lavoratore, ma al contempo anche nel rispetto delle scelte delle aziende". E poi –possiamo aggiungere- con l’arrivo della bella stagione qualche giorno per andare al mare gliela vorremo pur lasciare o no?

E poi la perla dell’assistenzialismo psicologico, questa volta dettato da Franco Amore, psicologo del lavoro del Lazio:

"serve un accompagnamento che faccia sì che le persone che rientrano da un lungo smartworking non siano gravate dai cambiamenti che troveranno. Magari questo passo dovrebbe essere preceduto da una valutazione organizzativa delle possibili difficoltà psicologiche individuali che possono intervenire. Il consiglio è di predisporre delle azioni di mitigazione rispetto ad un ritorno in presenza con colleghi magari nuovi".

Vabbè che tutti tirano ovviamente l’acqua al proprio mulino però l’”accompagnamento al rientro al lavoro” sembra francamente un po’ troppo anche per un Paese malridotto come l’Italia. E poi i soldi per i bonus sono finiti, non c’è più trippa per gatti!






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