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Economia
UniCredit, Mustier vende il 17% di Fineco per 1 miliardo. Ecco perché

Di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni

Mustier fa cassa con il 17% di FinecoBank per incamerare risorse preziose da utilizzare nelle strategie che sta delineando con il nuovo piano industriale e che comunicherà al mercato nell'Investor Day del prossimo 3 dicembre. Con una nuova nota (oltre a quella di stamattina a Borsa chiusa in cui ha fatto sapere di prepararsi ad una “potenziale futura uscita” della banca controllata con il 35,3%), l'istituto di piazza Gae Aulenti ha comunicato infatti di aver dato il via a "un accelerated bookbuilding di azioni ordinarie detenute in FinecoBank, per un quantitativo pari a circa il 17% del capitale sociale". Operazione che potrebbe fruttare al gruppo, considerando lo sconto applicato sulla vendita, circa un miliardo di euro e che concorre anche all'obiettivo "di raggiungere la parte superiore del buffer di 200-250 punti base del Cet1 ratio sui requisiti patrimoniali entro fine 2019". Target da ragiungere anche attraverso "la vendita di alcuni assets".

Mustier ha così limato la partecipazione residua dopo aver già ceduto il 30% in due distinte tranche tra il luglio e l’ottobre 2016 per complessivi 880 milioni di euro, all’epoca con uno sconto tra il 5% e il 6% rispetto alle quotazioni ante collocamento.

Da allora ad oggi, del resto, il titolo è volato ai suoi massimi storici con una capitalizzazione che sfiora i 6,75 miliardi di euro e visto che FinecoBank ad oggi beneficia di “sinergie limitate” col resto del gruppo, l’operazione non dovrebbe produrre alcun impatto significativo sul profilo di capitale e della liquidità della società di risparmio gestito, né sulla sua redditività, così come non ci sarebbero implicazioni sul suo modello di business.

Anche per quanto riguarda l’utilizzo del marchio Fineco, di proprietà di Unicredit, non ci saranno problemi dato che l’accordo di licenza in essere sarà mantenuto sino a scadenza con la possibilità per FinecoBank di rilevare il marchio sulla base di una serie di finestre di esercizio dell’opzione d’acquisto stabilite fino al 2032. L’unica preoccupazione per gli eventuali acquirenti potrebbero semmai essere i residui 8,3 miliardi di bond Unicredit, scadenza 2024, in pancia a FinecoBank (peraltro già calati di 3,5 miliardi nel primo trimestre dell’anno), ma Mustier ha pensato anche a questo: nella nota si fa infatti esplicitamente riferimento alla concessione da parte di Unicredit di una garanzia finanziaria a favore di FinecoBank per neutralizzare la sua esposizione al rischio creditizio.

Se mercati e quotazioni ai massimi e possibilità che nei prossimi trimestri un rialzo dei tassi o il rallentamento dell’economia pesino sulle valutazioni possono spiegare il perché Mustier abbia deciso ora di ridurre ulteriormente la sua partecipazione (che comunque resterebbe attorno al 20%-25%, per un controvalore di 1,35-1,70 miliardi), non è da escludere che anche altre considerazioni possano aver giocato a favore. Quali? Ad esempio l’opportunità di fare cassa per poter poi cogliere altre occasioni sul mercato, magari proprio un’integrazione paneuropea (si è parlato di Commerzbank, ma anche di Societe Generale, magari in un secondo momento) nel caso in cui i tassi tornassero a salire garantendo una maggiore redditività alle attività bancarie tradizionali.

Oppure la constatazione che pur con 69,3 miliardi di total financial asset (a fine 2018) e visto il rallentamento della raccolta netta del risparmio gestito italiano, sarà difficile ripetere i risultati sin qui ottenuti (6,22 miliardi di raccolta netta nel 2018, di cui 2,26 miliardi di raccolta gestita e 1,28 milioni di clienti raggiunti) e avvicinare i primi della classe in Italia, per non dire al mondo. A questo punto meglio massimizzare l’incasso, mantenendo peraltro una partecipazione che garantisca sia un discreto dividend yield (quello id quest’anno è stato del 2,4%) sia gli accordi distributivi di prodotti e servizi bancari, liberando risorse. Ma se Mustier vende, chi comprerà?

Nell’immediato quasi certamente saranno grandi fondi e gestioni patrimoniali, più a lungo termine però FinecoBank essendo contendibile potrebbe fare gola a qualche concorrente, tanto che Mustier ha già messo le mani avanti, prevedendo nel caso di una “acquisizione del controllo di Fineco da parte di determinati concorrenti italiani ed europei” che valgano le consuete “previsioni standard di cambio di controllo”. Insomma, forse anche per tranquillizzare il mondo politico sempre molto sensibile al tema di chi controlla il risparmio pubblico, non ci saranno “blitz” improvvisi.

Certo è che la settantina di miliardi di patrimonio gestito/amministrato di FinecoBank potrebbero far gola ad alcuni gruppi come Allianz (attualmente poco sotto i 48 miliardi di masse gestite/amministrate), Banca Mediolanum (al momento a 47,6 miliardi), Axa IM (che sfiora i 42 miliardi), Jp Morgan AM (circa 41 miliardi) o Azimut (poco meno di 35 miliardi). Meno probabile ma non impossibile che FinecoBank possa diventare in futuro una preda per Anima Holding (oltre 165 miliardi gestiti/amministrati, da tempo interessata ad Arca, poco  più di 31 miliardi), Blackrock (64,4 miliardi, ma già impegnata nel dossier Banca Carige) o Mediobanca (9,5 miliardi, data tra le candidate a rilevare Kairos Partners, con quasi 9 miliardi di asset).

Alla finestra dovrebbero infine restare il gruppo Generali (con oltre 85 miliardi tra fondi aperti e gestioni retail, che pare guardare con rinnovato interesse ad una possibile espansione in Europa in ambito assicurativo), il gruppo Intesa Sanpaolo (con oltre 213 miliardi tra fondi aperti e gestioni retail) e il gruppo Amundi (che già rilevò da Unicredit la fabbrica prodotti Pioneer Investments e che vanta oltre 103 miliardi tra fondi aperti e gestioni retail), ossia i tre attuali leader di mercato, che contando anche i portafogli istituzionali già ora detengono quasi la metà (il 48,5%) del patrimonio gestito netto dell’industria italiana del risparmio gestito.

 

 

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