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Economia
Usa 2020, l'economista Boldrin: "Con Biden stop ai casi Huawei, Tik Tok e Zte"

Quali le principali sfide della Casa Bianca dopo l'esito del voto alle Presidenziali? E come cambieranno i rapporti commerciali fra gli Stati Uniti e la Cina se nello Studio Ovale dovesse sedere Joe Biden o, ancora una volta, Donald Trump? E le relazioni fra gli Usa e l'Unione europea? Affaritaliani.it lo ha chiesto all'economista Michele Boldrin, professore alla Washington University (nella foto sotto).

L'INTERVISTA

Boldrin
 

Domanda da un milione di dollari: i sondaggi segnano un distacco fra Joe Biden e Donald Trump, ma nelle ultime rilevazioni, in alcuni swing State (Stati ballerini, indecisi), il presidente americano sta recuperando. Che esito delle urne si attende?
“Difficile dirlo e nessuno lo conosce realmente. L’esito del voto dipende da un paio di milioni di persone, che magari non ha neanche detto la verità, distribuite fra la Florida, la Pennsylvania e il Michigan. Di una cosa, invece, non dubito: il popular vote di Biden sarà maggiore di quello di Trump. Di quanto? Dipenderà dall’affluenza, affluenza che ha già triplicato i numeri delle Presidenziali precedenti. E’ un voto che dipende da pochi Stati e da una piccola frazione della popolazione di questi: all’interno di questo quadro, i polls danno in vantaggio il candidato democratico, ma all'interno dell‘errore statistico. Posso dire che, per quanto non mi entusiasmi, spero che vinca Biden”.

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Perché?
“Una seconda vittoria di Trump segnerebbe una forte discontinuità nella storia politica degli Stati Uniti. La prima è stata un caso, un errore dei democratici, dovuto al fatto che il partito ha presentato una debole alternativa a Donald Trump: Hillary Clinton non era presidenziabile. Un bis da parte del tycoon, dopo tutto quello che ha dichiarato di voler fare e fatto, specialmente riguardo agli assetti costituzionali americani, sarebbe un problema”. 

A cosa si riferisce?
“A molti atti: dall’ultima forzatura sulla Corte Suprema a tutti i tentativi di bypassare le procedure standard con gli executive orders e dai numerosi licenziamenti degli uomini del proprio staff che entravano in conflitto con il presidente, fino al voler aizzare i propri elettori agitando lo spettro della frode elettorale, in caso di vittoria di misura di Biden. Gli americani hanno sempre avuto un senso delle istituzioni, del rispetto della costituzione, del principio della separazione dei poteri e del rifiuto del conflitto d’interesse molto elevati. Il quadro si è deteriorato nel tempo, ma con Donald Trump ha avuto un'accelerazione. Gli Stati Uniti hanno una legislazione sui conflitti d’interesse dei funzionari pubblici, fatta ai tempi di Nixon e Carter, molto feroce. Legislazione che vale per tutti, meno che per il presidente, perché all’atto della stesura si dava per scontato che il numero uno della Casa Bianca fosse un soggetto che eliminava i conflitti d’interesse e che fosse al di sopra di questi. Una volta eletti, tutti si adeguarono, anche Nixon lo fece. Non lo ha fatto invece Donald Trump, che è un uomo pericoloso“.

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Quale sarà la prima grande sfida per il nuovo inquilino della Casa Bianca?
“Cambierà a seconda se il vincitore sarà Trump o Biden: i due candidati hanno ranking dei problemi e priorità differenti. In primis, dal mio punto di vista, gli Stati Uniti devono uscire dall’aver trasformato la lotta al Covid in uno scontro ideologico, di classe e che si muove lungo linee partitiche. La Casa Bianca deve affrontare l’epidemia in maniera più saggia. Gli Usa hanno poi chiari problemi con la Cina, tensioni create da Trump”.

Parliamo del fronte commerciale con Pechino: come evolveranno le relazioni Cina-Usa, a seconda di chi siederà nello Studio Ovale?
“Gli Stati Uniti hanno creato una situazione difficile con Pechino. Hanno fatto uscire il peggio dal presidente cinese Xi Jinping, personaggio ambiguo e pericoloso. Non è facile riportare la situazione ai livelli di partenza, visto che ormai il comportamento di Xi Jinping ha preso una piega imperiale. In Cina nei confronti degli Stati Uniti c’è una sensazione di ostilità e diffidenza, sensazioni che non aiutano la ripresa del dialogo. Biden avrebbe un po’ più di esperienza e di facilità nel riallacciare i rapporti, semplicemente perché potrebbe scaricare sul predecessore tutte le responsabilità degli scontri. Trump, al contrario, avrebbe una grande difficoltà a gestire questa situazione: è un uomo malato psicologicamente e, dopo aver ristabilito un canale di dialogo con il presidente cinese, non ce la farebbe ad ammettere i propri errori”. 

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Quindi, in una difficoltà della ripresa del dialogo fra le due superpotenze, la tendenza al decoupling, e cioè al disaccoppiamento fra le due principali economie del mondo, sarà inevitabile anche con Biden alla Casa Bianca…
“No, con Biden non vedo il decoupling.   In realtà non lo vedo in genere, è incompatibile con la catena del valore mondiale in essere”.

Perché?
Uno dei grandi vantaggi della progressiva correlazione fra le due superpotenze economiche era che l’Occidente stava formando la classe dirigente cinese. Era l’unica maniera per garantire che nel lungo periodo i tratti negativi dell’antica tradizione cinese si sarebbero annacquati. La Cina è uno Stato che traina la crescita mondiale e con cui bisogna fare i conti e non gli esorcismi. Lo aveva capito 150 anni fa Karl Marx ed è ora che lo capiamo anche noi. L’unico mondo per educare la loro classe dirigente è mostrare a Pechino che ci sono dei valori e delle regole della civiltà occidentale che possono andare bene anche ai cinesi stessi, un approccio che permette poi di integrare anche il confucianesimo e la loro visione sino-centrica del mondo con la cultura individualista occidentale. Senza conflitti. Ora, il canale è chiuso e mi auguro che Biden lo riapra”. 

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Quindi, i vari casi Huawei, Tik Tok e Zte non li vedremo più con Biden presidente…
“Verranno gestiti con dei gentlemen agreement sulla base di cifre miliardarie. Bisogna imporre alla Cina di aprire i propri mercati, una tendenza che Pechino stava percorrendo, anche se carsicamente. Ad esempio, prima di Trump, il dibattito sulla privatizzazione di alcune banche cinesi era in corso. Ora ahimè non più”. 

E nei rapporti con l’Europa? Se vince Trump si continuerà nella linea dell’indebolimento della Nato e dei dazi agitati contro l’auto tedesca? Se vince Biden invece è possibile che si torni a parlare anche di Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership)?
“Sulla Nato, la richiesta degli Usa all’Europa di costituire un proprio esercito, aumentando i fondi alla difesa, è un processo vecchio. Lo abbiamo visto anche durante la presidenza Obama. La pressione di Washington su Bruxelles c’è sempre stata: la differenza fra Trump e il suo predecessore era l’attenzione al linguaggio diplomatico usata da Obama. La ripresa del dialogo per le aree di libero scambio e sui trattati commerciali, con Biden alla Casa Bianca? Dipenderà da quali saranno le maggioranze politiche al Congresso e da quanto il nuovo presidente democratico dipenderà dai voti della sinistra del proprio partito nelle due camere congressuali. Le decisioni sulle politiche commerciali devono passare per il Parlamento Usa”. 

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Se con Biden alla Casa Bianca tornerà quindi un certo approccio al multilateralistico sul fronte della politica estera e commerciale, riprenderà anche il percorso di crescita del Wto?
“Difficile dirlo, perché il Wto è un’arma che gli Stati Uniti possono usare per mettere pressione alla Cina. L'organizzazione mondiale del commercio non sta funzionando, perché non ha l’autorità che dovrebbe avere: Usa, Cina e l’Unione europea l'hanno utilizzata in maniera strumentale, senza averle assegnato veri poteri. Ci saranno problemi di continuità nella posizione diplomatica adottata fino ad ora dagli attori in gioco: un’eventuale amministrazione Biden dovrebbe prima riportare la relazione con l’amministrazione cinese su terreni di non guerriglia simbolica e poi ritornare a eleggere il Wto come vero luogo di risoluzione delle controversie commerciali”. 

@andreadeugeni

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