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Economia
Usa: Biden fa l’occhiolino a Fiat Chrysler Automobiles, Trump a Fincantieri
(fonte Lapresse)

Di Luca Spoldi

Il tempo vola quando ci si diverte, dicono: sta di fatto che quattro anni di presidenza Trump sono quasi conclusi e a novembre si voterà per eleggere il 46esimo inquilino della Casa Bianca. Se quattro anni fa gli obiettivi di Trump erano quelli di smantellare le riforme dell’amministrazione Obama e restaurare la classica agenda del “Grand Old Party” (deregolamentazione e incentivi fiscali che hanno favorito i produttori di energia, le assicurazioni sanitarie e i big della farmaceutica oltre che i produttori automobilistici e i gruppi delle costruzioni), tirando qualche stoccata ai colossi high-tech, ancora in queste settimane molto critiche circa la decisione di Trump di limitare ancor più la possibilità per i lavoratori stranieri di essere impiegati negli Stati Uniti, cosa succederà questa volta?

Soprattutto quali saranno le ripercussioni per i gruppi italiani maggiormente presenti sul mercato americano a seconda che venga riconfermato Trump o vinca l’ex vice di Obama, Joe Biden? In realtà, spiega Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners, molto dipenderà da come andranno, oltre che i candidati presidenti, i rispettivi partiti. L’approccio ultraespansivo è comune a entrambi gli schieramenti, quello fiscale è molto diverso con Biden che potrebbe continuare a fare crescere il debito (e la moneta), ma si propone di rialzare le tasse, “in certi casi in maniera rilevante”, cosa che Trump eviterà di fare fino all’ultimo.

Con Biden, insomma, la crescita verrebbe sostenuta come con Trump ma i margini di profitto potrebbero ridursi. Ma al di là del quadro generale, nel concreto le aziende italiane con chi fanno affari e quindi per chi, indirettamente fanno il tifo? Entrambi i candidati si sono mostrati attenti: Biden ha già fatto visita ai nuovi impianti di Fiat Chrysler Automobiles in costruzione a Detroit, mentre Trump in questi giorni ha fatto visita ai cantieri di Fincantieri Marinette Marine, in Winsconsin, dove si era già fatto vedere il suo vice, Mike Pence, pochi mesi fa.

A entrambi i gruppi italiani la cosa non può che far piacere, specialmente a Fincantieri visto che ha visto a fine aprile la gara FFG(X) per la fornitura di una fregata alla US Navy, del valore di 800 milioni di dollari. Il contratto prevede l’opzione di altre 9 fregate (derivanti dal modello Fremm, sviluppato da Fincantieri e Leonardo insieme alle francesi Naval Group e Thales, due esemplari delle quali sono state di recente cedute dall’Italia all’Egitto, non senza polemiche), per un valore complessivo di 5,5 miliardi di dollari e Fincantieri ha partecipato da sola, quindi non dovrà spartire il “bottino” con nessuno.

Dato che nei prossimi anni andranno bandite nuove gare per le forniture di armamento e equipaggiamento sia per la capoclasse sia per gli altri nove vascelli, facendo salire l’ammontare complessivo del progetto a 19 miliardi di dollari, è chiaro che Fincantieri e i suoi fornitori (Leonardo e Selex, tra gli altri) devono sperare che Trump resti alla Casa Bianca (essendovi il rischio che Biden rallenti il programma). Tra l’altro Fincantieri aveva già vinto una precedente gara per fornire 16 unità di LCS (Littoral Combat Ship), delle quali 10 già consegnate e le ultime 6 in lavorazione (mentre ulteriori 4 unità saranno consegnate all’Arabia Saudita).

Anche Leonardo sta facendo affari d’oro con le forze armate americane, avendo vinto negli ultimi due anni due gare: quella dell’Us Air Force per la sostituzione della flotta di 84 elicotteri delle forze speciali (gli MH-139, versione “customerizzata” del AW139 di Leonardo, sostituiranno gli UH-1N Huey), da 2,4 miliardi di dollari, e quella con la Us Navy per 130 elicotteri d’addestramento (in questo caso si tratta di Th-73A, derivato dell’AW119, che sostituirà gli obsoleti Bell TH-57 SeaRanger) da consegnare entro il 2024, del valore di 648 milioni.

Negli Usa è presente anche il gruppo Salini Impregilo tramite la controllata Lane che lo scorso anno si è aggiudicata in Texas (stato tradizionalmente repubblicano) una maxi commessa da 14 miliardi di dollari (su un valore complessivo di 20 miliardi) per la progettazione e costruzione delle infrastrutture per la rete ferroviaria ad alta velocità tra Houston e Dallas lunga 386 chilometri. Lane fa però affari con tutti e sempre nel 2019 ha vinto un contratto da 255 milioni di dollari per costruire un tunnel di stoccaggio idrico per il Lake Washington Ship Canal, nello stato di Washington (il cui governatore è democratico), oltre ad uno da 705 milioni di dollari per lavori autostradali sempre nello stesso stato.

Anche così, il maggior sostegno promesso da Trump al settore infrastrutturale “tradizionale” (ponti, autostrade, ferrovie) e “innovativo” (rete in fibra) farebbe probabilmente propendere Salini Impregilo per una seconda presidenza Trump che non una presidenza Biden. L’ex vice di Obama promette invece di dar vita ad un Green New Deal che assomiglia, sulla carta, a quello che l’Europa sta progettando per sostenere la ripresa post-Covid19 e che i repubblicani e Trump (che ha esteso al settore petrolifero e del gas gli aiuti di stato legati alla pandemia nonostante le proteste dei democratici) guardano con preoccupazione ritenendolo fonte di future sciagure.

Non la pensano allo stesso modo in Enel Green Power (Egp),  guidata da Antonio Cammisecra (responsabile anche della divisione Global Power Generation e dell’area Africa, Asia e Oceania del gruppo Enel) che nel corso del 2019 ha messo in servizio quasi 800 MW di energia sostenibile ed ha 1 GW di ulteriore capacità in corso di realizzazione tramite 6 nuovi impianti. In tutto il Nord America Egp ha già all’attivo un centinaio di impianti tra idroelettrico, eolico, solare e geotermico per una capacità installata complessiva di 8,7 GW a fronte dei 1.200 impianti posseduti in tutto il mondo (per complessivi 46 GW di capacità).

Visto che nell’idea di Biden anche le infrastrutture, che comunque andranno rifatte, dovranno essere quanto più possibili “verdi”, a fare il tifo per lui c’è certamente Greenrail, la scale-up italiana fondata nel 2013 Giovanni Di Lisi che produce traverse ferroviarie prodotte dal riciclo di pneumatici esausti e rifiuti plastici speciali e che tre anni fa sbarcò negli Usa con una commessa da 75 milioni di euro in 15 anni. Interessata alle nuove infrastrutture “green” è anche Snam: il principale operatore di gasdotti europei lo scorso anno ha messo gli occhi sul 32% del gasdotto Rover che la texana Energy Transfer sembrava pronta a cedere.

L’operazione potrebbe valere fino a 2,5 miliardi di dollari ma sembra essere finita in naftalina dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19 e il parallelo braccio di ferro tra Arabia Saudita e Russia sul petrolio. Energy Transfer aveva infatti rilevato la quota da Blackstone per circa 1,57 miliardi nel 2017 e col ricavato della cessione puntava a finanziare il progetto di un terminale per l’esportazione di petrolio a Corpus Christi in grado di far attraccare anche le superpetroliere con una capacità di carico da 2 milioni di barili di petrolio, ma non poteva prevedere la frenata indotta dalla crisi.

Frenata che ha già fatto rinviare o ridurre gli investimenti per almeno quattro nuovi oleodotti. L’arrivo di Biden o la conferma di Trump alla Casa Bianca potrebbe così definitivamente far saltare o accelerare lo sbarco di Snam sul mercato statunitense. Un motivo in più per seguire con interesse l’andamento della campagna presidenziale 2020 da parte dell’industria italiana.

 

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