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Fazio "furbo", Bruno Vespa "ecumenico": la Rai vista dall'ex dg Mauro Masi

Criticare il sistema televisivo, soprattutto  quello pubblico, cioè la Rai, è diventato ormai un esercizio dialettico, anche se pienamente giustificato dalla noia che suscitano programmi scarsamente originali e innovativi che allontanano dal piccolo schermo i giovani, attratti semmai da canali alternativi e tematici o da trasmissioni “on demand” recepiti sui telefonini. “Nel terzo millennio – scrive ad esempio Riccardo Bocca  su “L’Espresso” - il modello televisivo ha prodotto un’invincibile aria cimiteriale”. La tv, con le sue “trasmissioni esangui in un’Italia con le gomme a terra”, è un “corpo stanco” che “giorno dopo giorno ciondola tra un brandello di fiction che odora di stantio, flussi di quiz afflitti da pigrizia creativa”. Perfino un brillante showman come Fiorello, che dentro la tv ci sta, è insorto per denunciare l’insistenza e l’overdose sui delitti invitando tutti i maggiori network a trattare i casi di cronaca nera “nelle sedi competenti”, ossia dove li guarda chi vuole, e non nei telegiornali e nei rotocalchi, considerati aperti a un pubblico più vasto. La descrizione dei particolari, l’insistenza sui delitti, con le armi moderne o tradizionali, con l’acido addirittura più frequente perché più maneggevole, suscita – secondo gli psicologi - una sorta di emulazione, diventando quasi una scuola del delitto. Come a dire, paradossalmente: “l’ha fatto lui, perché non posso farlo anch’io?”.  

Per la Rai il 2016 è stato l’anno del rinnovo delle cariche, avvenute sotto l’influsso e l’egida del Governo renziano col famoso attacco del Rottamatore “la Rai non è dei conduttori”, ma anche di altre centrali e movimenti, culturali e di pressione, non ultimi di potenti agenti che gestiscono divi e opinionisti. Nomi nuovi, spostamenti, allontanamenti, evoluzioni e anche molti ritorni, fra cui quelli di Pippo Baudo e di Michele Santoro col pretenzioso programma “Italia” impresso sul sommergibile del coraggioso ma sfortunato esploratore polare Nobile. Contestualmente, guarda caso, ritorna sulla scena anche Mauro Masi, funzionario pubblico d’alto rango, professionista multiforme ed esperto di comunicazione e di economia, direttore generale della Rai al tempo del Governo Berlusconi e ora Dg e presidente di Consap, comunicatore con rubrica su “Milano Finanza” e su “Il Tempo”, che con Santoro ebbe un epico scontro, unico nella storia della Rai. Culminato, se così si può dire, col ritiro - dimissioni, sconfitta, fine-mandato - di entrambi: per il giornalista-conduttore sostanziosa liquidazione (17 milioni di euro di cui 14 per l’acquisto di prodotti editoriali della società facente capo a Santoro, e per il dirigente statale la nomina ad altro incarico, la Consap, dove è oggi). Michele Santoro è rientrato su Rai 2 e Mauro Masi ha rilanciato del libro-intervista a cura del giornalista Carlo Vulpio dal titolo inquietante “Un nemico alla Rai”. Vicenda epica Masi-Santoro, culminata nel fine-mandato dopo “800 giorni contro nella tv pubblica” del Dg che voleva combattere nel network pubblico il “consociativismo” e lo strapotere di giornalisti (Usigrai), di dirigenti (Adrai) e direttori, di consulenti e influenze esterne. Un’altra era, che segnava la crisi della Rai, dopo il lungo regno di Ettore Bernabei e Biagio Agnese che avevano governato con  il sistema “una rete a me e una a te, la terza all’altro”.

Oggi, 2017, a pochi mesi dal rinnovo delle cariche finalizzate a una nuova “governance” in funzione renziana, le polemiche, le incertezze, i contrasti sono all’ordine del giorno. Qualcuno si è già dimesso, come Andrea Semprini, chiamato a Rai3 a condurre “Politics”, subentrato al defunto “Ballarò” orfano prima di Floris, passato a “La7” di Cairo (che acquista tutti), e poi di Giannini, scuola “Repubblica”, ambedue non graditi all’establishment politico dominante, e cioè a quella “Tv renziana” di cui tutti parlano, mentre nei suoi 50 anni di vita, anche se è stata sempre portavoce e megafono del potere, la Rai, come azienda pubblica, sostenuta dal canone e sottoposta alla sorveglianza del Ministero del Tesoro e controllata a vista dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza, non è mai stata la Tv di alcun Governo. Semmai “fanfaniana” ai tempi di Bernabei. Il marasma odierno è andato crescendo anche in seguito alla decisione di Carlo Verdelli, direttore per l' “Offerta informativa”, di dimettersi dopo l'ultimo stop al suo piano per l'informazione.

"Una persona perbene – ha spiegato - non può che prendere atto che non gode più della fiducia dei vertici e rassegnare le sue dimissioni. Non ci può essere un direttore che non ha la fiducia del consiglio di amministrazione". Proprio come succedeva a Mauro Masi. Campo Dall’Orto riferisce ai parlamentari “Vigilanti” che lo attendono col fucile spianato, davanti ai quali farà il lamento delle entrate. Il canone riscosso attraverso le bollette della luce ha fornito cifre strabilianti, ma ha rivelato un neo: la riduzione a 100 euro. E così la nuova Rai si ripresenta con le vesti, le trasmissioni e i programmi della vecchia Rai. Non a caso è tornato “Rischiatutto”, nella speranza di rinverdire il successo di Mike Bongiorno. Ma così non è stato. Più che mai dominano i quiz, anche se va in soffitta “Affari tuoi”, le fiction, i talent e soprattutto Sanremo.

La trasmissione d’inizio febbraio di ogni anno in Riviera è una cartina di tornasole alla quale si guarda soprattutto in termini di audience, e poi, marginalmente, anche alle canzoni. Qualsiasi cosa si dica in contrario. I picchi d’ascolto non mancheranno, anche perché Carlo Conti ha ottenuto, con un colpo di prestigio, di avere accanto a sé, come presentatrice, non certo come valletta, Maria De Filippi, che è certamente una figura atipica nel panorama televisivo italiano, e non solo italiano. Inoltre non percepisce compenso. E questo è un particolare di non poco conto in tempi in cui si chiedono cifre astronomiche e i dirigenti Rai hanno accettato a viso duro il tetto di 240 o 270 mila euro, nei tempi in cui imperversa la disoccupazione e la povertà si allarga drammaticamente (+155%). Ma l’ascolto non è e non può essere tutto. Si richiede più qualità e più inventiva, più cultura dalla Rai, azienda pubblica. Per questo ne parliamo. Né Sanremo può essere l’alfa e l’omega. Dopo ci si rifugerà nelle “Techetecheteche…te”.

Ma perché Mauro Masi vuol parlare ancora oggi? “”Per mettere, dalla mia postazione, il mio mattone nella costruzione di un dibattito pubblico, serio e concreto, sulla Rai, un’azienda e un’agenzia culturale che, nonostante tutto, è stata ed è importantissima per l’Italia”. Insomma, Masi non esclude in via assoluta un suo eventuale ritorno alla Rai (“Mai dire mai!”) e rivendica la paternità del “codice Masi” sul pluralismo che sarebbe stato ripreso dalla nuova Commissione Parlamentare di Vigilanza. Masi comunque non si tira indietro dal dare giudizi su molti personaggi. Fabio Fazio è “furbo”. Giovanni Floris è “furbetto”, Serena Dandini fa “birignao”, mentre Bruno Vespa è “ecumenico”, al punto che avrebbe voluto il conduttore di “Porta a Porta” al Festival di Sanremo a fianco dello stesso Fazio. Ma il clou delle confessioni di Masi sta nel capitolo in cui lui individua la Rai come “la patria del gossip”.

Alla domanda se è esatta la sua “fama” di tombeur de femmes, risponde: “confermo”. “Se ti invitassero ad un incontro tra Silvio Berlusconi e Manuela Arcuri, sceglieresti di andare dalla Arcuri?”. Risposta: “confermo. Anche la risposta completa a questa domanda è che, potendo, andrei dalla sig.ra Arcuri e credo che il presidente Berlusconi capirebbe benissimo”. Comunque, Mauro Masi ci tiene a chiarire che gli hanno attribuito tante storie che “se fossero vere, non mi avrebbero lasciato nemmeno per la pausa pranzo. Mi ci sarebbero volute giornate di 25 ore no-stop per tenerle in piedi. E poi questa stupidaggine del tombeur de femmes me la porto dietro da quando ero ragazzo”.  Per Masi, tutto è sempre e solo gossip. “Una cosa è la Consap, dove sono adesso, e un’altra cosa è la Rai, dove si concentra il mondo dello spettacolo. Però non è giusto parlare di gossip solo come gossip amoroso o da camera da letto. Il gossip che incide sulle decisioni aziendali è peggio. E’ più pericoloso e più subdolo. In Rai, le cose non è nemmeno necessario dirle affinché siano spifferate, basta solo pensarle. Il gossip cattivo, e quello che definisco da reati, consiste nell’attribuzione a Tizio o a Caio di fatti determinanti, precisi e infamanti, pur sapendo che sono falsi. Uno sport abietto e vigliacco che purtroppo ha fatto  molte vittime”. Alla domanda se queste vittime hanno un nome e un cognome, Masi risponde: ”Sì, ma preferisco non parlarne”. E, ancora: “E’ toccato anche a te questo gossip cattivo?”. Lapidaria la risposta: “Sì”.

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