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Spettacoli

Il Jazz internazionale di Francesco Cataldo che profuma di Sicilia

Francesco Cataldo chitarrista jazz siracusano, ci racconta “Giulia” il suo ultimo disco. Francesco con la sua musica molto cinematografica, ci permette di guardare e non solo ascoltare: “Leimmagini sono le parole che mancano alla mia musica” afferma col pudore di chi mette l’anima in quel che fa. Nel 2012 Francesco è stato invitato a New York da Scott Colley uno dei più grandi contrabbassisti al mondo: una svolta per Francesco, che ha saputo portare gli americani a sentire il profumo della sua amata terra, il salino del mare di Ortigia e la bellezza di Siracusa. In “Giulia” hanno suonato con lui: al pianoMark Copland col suo tocco elegante e poetico,Pietro Leveratto eAdam Nussbaum a formare una coppia ritmica d’eccezione.

Francesco per te la musica è lentezza o improvvisazione?

Lentezza soprattutto perché è svuotamento, quindi implica un processo che non può essere frettoloso. Nel silenzio, nel deserto che riesco a creare, senza alcun riferimento o condizionato da altre melodie, trovo ispirazione e nuove note. Quando ero più giovane artisticamente e facevo standard era consuetudine, come spesso succede a chi fa jazz, di prolungare i temi a lungo. Col tempo ho sentito il bisogno di scrivere temi e idee che rimangono lì. L’improvvisazione è passata in secondo piano: dietro ogni tema c’è il suo perché e dilungarsi sarebbe come annacquare un bel bicchiere di vino.

 “Giulia” è un disco autobiografico che porta il nome di tua figlia ritratta sulla copertina del disco, alla finestra: un’immagine significativa e delicata. E’ il tuo modo di raccontarle la vita?

Si questi dieci brani, sono dieci racconti con un tentativo umile di narrazione. Un modo di dedicare e raccontare la vita a mia figlia, ma anche per ricordare a me stesso di conservare, difendere quel bambino, quel “picciriddu” che è in me. Sul disco è Giulia che osserva il mare dalla finestra del Castello, ma ci sono anch’io a guardare quel mare col suo stesso stupore. “Waltz for Two” è dedicata a mia moglie Asta: una danza per due, un brano romantico per sottolineare come l’amore sia un movimento, un passo a due dove sentire il respiro dell’altro. L’amore deve essere vissuto, “ballato” tutta la vita e questo brano lo racconta.

Un disco per te è come un figlio. Come stai vivendo, in attesa di poter suonare dal vivo, l’uscita di “Giulia”?

Assaporandone ogni momento, dibattuto tra una sorta di depressione post partume la gioia di aver terminato questo disco che arriva dopo “Spaces” del 2013. “Spaces” ha segnato una svolta importante portandomi dalla Sicilia a New York. Suonare con Scott Colley, non può non cambiare la vita di uno che fa jazz . “Giulia” è il disco della maturità, dove confermo quale sia la mia direzione. Una musica pulita, senza sovrastrutture che deve poterne esaltare la bellezza. Anche in quest’ultimo lavoro Marc Copland, uno dei pianisti più grandi del momento, Pietro Leveratto in coppia ritmica con il batterista americano Adam Nussbaum, hanno saputo avvicinarsi alla mia musica in punta di piedi, senza calcare la mano,... anche loro come fanciullini.

Quanto il tuo vissuto ha condizionato la tua musica?

Una caratteristica che mi appartiene è che scrivoper immagini evocative. Possono essere persone, o paesaggi. Fotogrammi che scorrono nella mia mente. A volte un dettaglio, mi cola nell’anima e da lì scaturisce un’ispirazione. Ho bisogno d’immagini: può essere un bambino che gioca sulla piazza assolata di Ortigia, un vicino che accenna un saluto dalla finestra. Le immagini sono i miei testi, che danzano sui temi che scrivo. Forse per questo è definita cinematografica.

Stai preparando il primo e tanto atteso live a Zafferana JazzFestival il 25 luglioall’Anfiteatro Falcone e Borsellino. Che effetto ti fa?

Una grande emozione che sto vivendo, nell’attesa dell’evento, con sentimenti controversi. Una grande gioia mista a“sana timidezza”, quella che si prova nel presentare un figlio. Fare musica per me è davvero espressione di un mondo interiore e questo mi procura ancora una certa trepidazione. E’ quel sano stupore, quel rimanere il fanciullino di un tempo che sottolineavo prima. Credo sia questo a permettermi di dare tanto nei concerti conservando, dopo anni di carriera, questa “timidezza”, che è creatività ed emozione allo stato puro.

“I brani di Francesco, belli come una carezza infinita destinata a perdurare per un lungo viaggio”  Pupi Avati

 

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    francesco cataldojazz





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