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Oscar 2018, Luca Guadagnino: "Sentirsi arrivati? Cosa più stupida che esista"

OSCAR 2018, LUCA GUADAGNINO A VANITY FAIR: "PENSARE DI ESSERE ARRIVATI E' LA COSA PIU' STUPIDA CHE ESISTA"

Flashback, primo pomeriggio: «Fuori dal mixer, dove stavo lavorando sulla colonna sonora di Thom Yorke per Suspiria, c’erano due degli amici più cari della mia vita, Carlo Antonelli e Valentina Cervi. Io dentro la sala, con il mio collega storico, Walter Fasano, scisso tra la meraviglia delle note di Thom Yorke e l’ansia di conoscere le candidature all’Oscar, comunque molto nervoso. Loro fuori, a ritmare con le urla la piega degli eventi dell’Academy. “Che è successo?” chiedevo.

E dall’altra parte, frammenti di notizie: “Il film è stato candidato per la musica”, “il film è stato candidato per la sceneggiatura”. Alla fine sono uscito anch’io. “Va bene, aspettiamo insieme”. È stato divertente». Attendere ha prodotto la candidatura a miglior film per Luca Guadagnino e per il suo Call me by your name. Quattro in totale. Un trionfo che il giorno dopo, sorprende il regista tra sbadigli: «Ho messo stupidamente la sveglia troppo presto» ed emozione: «Cosa ho pensato in quel momento? Non lo so. So che sono contento. Mi sembra una cosa fantastica. Mi pare che la candidatura al miglior film sia, come dire, una cosa francamente enorme».

Quando ha iniziato a fare questo lavoro l’avrebbe mai immaginato?

«Le ambizioni sono la materia che da un lato ti permette di andare avanti e dall’altro lato ti illude».

Perché?

«Puoi ambire a quello che vuoi, ma non puoi credere davvero che sublimerai i sogni. Sono uno strano gioco le ambizioni».

Che sapore resta a poche ore dalle candidature?

«Una sorta di felicità. Avevo un obiettivo preciso».

Quale?

«Per me la cosa più importante da sempre, il mio obiettivo unico, il mio interesse principale è creare degli oggetti che abbiano la possibilità di avere un impatto molto forte per chi li vive e li guarda. Se questo riconoscimento, il riconoscimento di ieri, è il segno di un impatto forte significa che in questo caso specifico abbiamo realizzato una cosa bella che ha collimato con l’obiettivo iniziale».

Dal Golden Globe a oggi, tra paure e speranze, quanto sono state faticose queste settimane?

(Ride) «Enormemente. Sì, sono state molto faticose. Non è la prima volta che un mio film ha a che fare con il mercato estero, ma insomma, al di là di una promozione abbastanza intensa per Io sono l’amore, una cosa così non mi era mai capitata. Niente di paragonabile ad allora né a quello che ho affrontato in precedenza»

Che cosa le hanno insegnato queste settimana di campagna per L’Oscar?

«Che non si deve stare in albergo per più di una settimana»

Come mai?

«Perché la dimensione domestica è un modo per rimanere sani, mentalmente e fisicamente». (Ride).

Nel libro a cui il film si è ispirato André Aciman scrive «Tornare indietro è falso, andare avanti è falso. Far finta di niente è falso». Ora far finita di niente sarà impossibile.

«Ma non avevo nessuna particolare aspettativa prima e non ce l’ho neanche adesso. Penso sia straordinario così. Siamo felicissimi».

Il suo è un piccolo film. Girato in relativa economia.

«Non in relativa economia. Proprio in economia».

Cosa voleva dire con Call me by your name?

«Sarei imbarazzato a spiegarlo. Non credo che un cineasta debba esprimere un pensiero su quello che vuole dire. Lascio il compito di interpretare a chi guarda il film. Mi interessa come sempre fare dei film che partendo dal modello della nouvelle vague portino avanti quel discorso teorico sulla lingua del cinema e sulla forma del cinema a cui tengo da sempre».

Ora la aspetta Suspiria.

«Sarà pronto a fine marzo per un festival importante, se lo vorranno».

Cannes? Venezia?

«Non voglio dire Cannes, né Venezia, ma vorrei portare Suspiria al Festival che lo accoglierà con più affetto»

La giornata di ieri le cambia la vita?

«Non lo so. Si dovrebbe avere la saggezza di capire che l’impermanenza è la cosa più vera che c’è».

Definizione di impermanenza: Transitorietà di un fenomeno, il suo essere passeggero.

«Il film di Bernardo Bertolucci, Il piccolo Buddha, comincia con questo meraviglioso gesto: mani che mettono della sabbia e piano piano cominciano a comporre un tappeto di straordinaria bellezza fatto di colori e forme. Durante il film lo vedi fare un altro paio di volte e alla fine vedi questo tappeto che si chiama Mandala, finalmente composto. Come dicono i buddhisti, quando il tappeto di Mandala è composto, la mano lo distrugge perché l’impermanenza è nelle cose. Quindi non credo mai nella frase sei arrivato. Pensare di essere arrivati, sentirsi arrivati è la cosa più stupida che possa accadere. A un uomo, non solo ad un regista».

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