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Esteri
"Afghanistan, il ritiro delle truppe non rappresenterà un troncamento netto"

Come ha detto il Segretario Generale della NATO Stoltenberg, in Afghanistan siamo arrivati insieme, abbiamo coordinato la nostra permanenza insieme e lo lasceremo insieme. Dopo, ambasciatore, che cosa succederà?
"Intanto voglio sottolineare ancora una volta il ruolo preminente che il nostro Paese ha avuto in questa fase. A Bruxelles, quando è stato dato l’annuncio, su 30 Paesi solo 4 oltre agli Stati Uniti partecipavano con i propri Ministeri degli Esteri in presenza: Germania, Regno Unito, Turchia e appunto Italia. Tengo inoltre a sottolineare il senso di riconoscenza e di orgoglio per le nostre forze armate che in Afghanistan hanno compiuto un lavoro straordinario, con efficienza, dedizione e impegno, pagando talvolta con la vita il loro servizio. C’è un modo tutto italiano di fare missione in territori così critici, una professionalità abbinata a doti umane che è apprezzata nel mondo. Ciò detto, per quanto riguarda l’ambito NATO il ritiro avverrà in modo ordinato, coordinato e deliberato, in modo che al presidio militare – e dunque alla forza – possa e debba gradatamente sostituirsi la Politica. Per la fine di Aprile è prevista una conferenza in Turchia: va fatta in modo inclusivo, con la partecipazione di tutte le parti in causa, per dare nuova linfa a quel lento processo di pacificazione iniziato a Doha l’anno scorso. Sarà cruciale anche la partecipazione collaborativa delle altre potenze regionali, dalla Cina alla Russia, dall’Iran al Pakistan. Del resto, l’Afghanistan ha sempre avuto, nella Storia, potenzialità di connessione straordinarie, sin dai tempi di Alessandro Magno: quindi deve tornare a essere un luogo di incontro, non di scontro, una cerniera e non un battente. Per farlo occorre anche rispettare e proteggere l’identità culturale del suo popolo, e nel promuovere questo processo, di nuovo, l’Italia è particolarmente dotata".

Lei ha parlato di continuità, di proseguimento della cooperazione (seppur in altra forma) per scongiurare il rischio che l’Afghanistan scivoli di nuovo nella violenza e nel terrorismo. Ha menzionato anche la Cina: teme che il ritiro delle truppe possa aprire nuovi canali di influenza per il Dragone? L’Afghanistan è un “Paese impossibile” che va abbandonato?
"La Cina confina con l’Afghanistan, dunque guarderà sempre con attenzione a quanto accade in un Paese suo limitrofo. La sua influenza, d’altro canto, è globale: sta dunque a noi essere vigili, facendo in modo che non ci sia una competizione a nostro danno. Peraltro, dovrebbe essere nell’interesse di tutti i Paesi della regione evitare di lasciare dei vuoti, in cui possano attecchire e proliferare derive estremiste. Lo studio della Storia è fondamentale e per questo è importante rispettare le identità culturali dei Paesi dove si opera. D’altra parte, non credo che la Storia si ripeta sempre in modo meccanico, non credo nella descrizione di un Afghanistan “tomba degli Imperi”. La realtà è che abbiamo fatto molto, il nostro ruolo non è in alcun modo paragonabile con passate presenze straniere. Gli Afghani ce ne sono grati e dobbiamo infondere fiducia anche se siamo consapevoli delle sfide da affrontare. In un contesto difficile la perfezione non esiste, ma l’orgoglio per il passato e l’impegno verso il futuro significano rendere giustizia a quanto è stato fatto e spingerci in modo positivo a fare ancora".

Il tema da Lei sottolineato, ovvero quello del cambiamento nella continuità, è fondamentale per garantire il rispetto dei diritti umani. In questa fase di transizione, per tutelarli, serve applicare quello che potremmo definire “ottimismo della volontà”?
"Abbiamo il dovere dell’ottimismo, anche quando conosciamo le difficoltà che ci attendono. Come dicevo, l’11 Settembre del 2001 mi trovavo a New York, in una città sotto scacco dei terroristi. Venti anni fa non era immaginabile per me poter mettere piede in Afghanistan, ma dopo dieci anni, l’11 Settembre del 2011, ero a Herat come Inviato Speciale. Quasi a distanza di altri dieci anni, sono reduce da una missione sul territorio in cui ho constatato quanto sia stato fatto. Non posso avere la certezza assoluta di come, fra altri dieci anni, nel 2031, la situazione sarà ancora migliorata. Di certo, però, l’Alleanza Atlantica continuerà ad impegnarsi per il rispetto dei diritti umani. Non dobbiamo infatti dimenticare che la nostra Alleanza è soprattutto fondata su valori comuni, è un patto per la difesa di tali principi e non contro qualcuno. La consapevolezza della situazione, e soprattutto di quello che è stato, ci induce al realismo. Non possiamo essere ingenui: il contesto è difficilissimo, tuttavia, la volontà e l’impegno sono sempre nell’ottica di fare passi avanti, mai passi indietro. Affinché, per esempio, quel gruppo di donne di cui raccontavo all’inizio, con in capo oneri e responsabilità, da enclave privilegiata possa diventare una realtà diffusa e normale, così come deve essere. Si tratta di continuare a dare il nostro contributo a “riparare il mondo”, nonostante tutto". 

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    afghanistanritiro truppe afghanistantalò rappresentante permanente dell’italia presso il consiglio atlantico.





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