Esteri
Ucraina, l'esperto avverte: "Il futuro di Kiev dopo la fine della guerra? Zelensky travolto da crisi politica e corruzione"
Intervista a Alessandro Vivaldi, Presidente dell’Associazione Italiana Analisti di Intelligence e Geopolitica e coordinatore del Dipartimento Analisi del Centro Studi AMIStaDeS

“Il futuro di Kiev dopo la pace: crisi, corruzione e veterani estremisti”, parla l'esperto
Siamo davvero a un passo dalla pace in Ucraina? O si tratta di speranze ancora troppo lontane? Nonostante i colloqui tra i leader internazionali si stiano intensificando e il confronto diplomatico appaia in crescita, la paura che l’invasione russa possa protrarsi ancora a lungo fatica a scomparire.
Le tensioni aumentano soprattutto dopo le affermazioni di Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, secondo cui il vero obiettivo del leader russo Vladimir Putin non sarebbe la sola occupazione del Donbass, ma dell’intero Paese. Se dovesse cadere questa “fortezza”, allora Mosca “procederebbe sicuramente alla conquista dell’intera Ucraina”.
A fare chiarezza è Alessandro Vivaldi, Presidente dell’Associazione Italiana Analisti di Intelligence e Geopolitica e coordinatore del Dipartimento Analisi del Centro Studi AMIStaDeS, che ad Affaritaliani offre una lettura lucida e realistica delle prospettive militari, geopolitiche e negoziali del conflitto, delineando i possibili scenari dei prossimi mesi e i limiti strutturali di una pace solo apparente.
Kaja Kallas sostiene che il Donbass non sia il vero obiettivo di Putin, ma una “fortezza”: se cade quella, allora “procederà sicuramente alla conquista dell'intera Ucraina”. Si tratta di un’affermazione realistica?
“Dal punto di vista militare è vero che la linea che fa capo alle città di Kramatorsk e Sloviansk rappresenta il fulcro della difesa ucraina, come lo è che oltre tale fronte è estremamente difficile stabilire una linea difensiva prima del fiume Dniepr; tuttavia, politicamente è estremamente improbabile che l'establishment russo punti a una conquista effettiva di altri territori (eccezion fatta per le regioni a sud, già contese).
I russi hanno difficoltà a raggiungere le già menzionate città, andare oltre il Donbass significherebbe perdere qualsivoglia copertura politica, financo quella cinese, e prodursi in uno sforzo che rischierebbe un punto di rottura sia in termini di uomini e mezzi, sia in termini di supporto del fronte interno".
La proposta di Zelensky di “congelare la linea del fronte” viene presentata come compromesso per evitare una resa. Ma dal punto di vista geopolitico e militare, i conflitti congelati hanno davvero garantito sicurezza, o rischiano di diventare solo una pausa utile all’aggressore per riorganizzarsi?
“In questo momento le forze armate russe mantengono l'iniziativa, ancorché questa non sia ancora in grado di spezzare in maniera decisiva le linee ucraine: sanno che impedire qualsivoglia pausa nelle operazioni (un cessate il fuoco, o anche una sorta di soluzione coreana) significa avere una leva negoziale nei confronti degli americani, che temono proprio una maggiore sconfitta ucraina che, sul lungo termine, equivarrebbe a un'ulteriore attrito sulle proprie politiche internazionali come già avvenuto in Afghanistan e Iraq.
Credo sia estremamente probabile che nell'ottica russa una fine "definitiva" del conflitto equivalga al riconoscimento della Russia come potenza globale, che da sempre è uno degli obiettivi della politica estera di Putin".
Zelensky si dice disposto a rinunciare all’adesione alla NATO in cambio di garanzie di sicurezza “reali” da parte degli Stati Uniti. Dal punto di vista dell’intelligence strategica, senza l’ombrello formale dell’Alleanza, quali garanzie sarebbero davvero credibili per dissuadere Putin da una nuova offensiva?
“La proposta suggerita da molte indiscrezioni giornalistiche, cioè di un meccanismo simile all'articolo 5 parte del rivisitato piano di Trump, accoppiato con un'adesione ucraina alla UE, può certamente essere considerata una garanzia ampiamente sufficiente. Tuttavia, vi sono, secondo me, degli aspetti di cui la diplomazia europea come quella americana è ampiamente conscia, ma che non vengono trattati pubblicamente: aspetti, in particolare, relativi all'affidabilità ucraina una volta finito il conflitto.
Il paese, anche se riuscisse a ottenere le migliori condizioni di pace possibile, sarà frustrato da un'ampia crisi politica, sociale ed economica, da corruzione sistemica e dall'elefante nella stanza di cui nessuno parla: la gestione di centinaia di migliaia di veterani, molti dei quali (parliamo di decine di migliaia) tenderanno a ingrossare le fila degli estremismi politici ostili a qualsivoglia compromesso e in alcuni casi più estremi simpatizzanti per una ripresa del conflitto”.
Guardando ai prossimi mesi, quale traiettoria le sembra oggi più realistica per il conflitto in Ucraina? Stiamo andando verso una stabilizzazione del fronte oppure verso una nuova fase di confronto più duro?
“Personalmente sono fermamente convinto il conflitto sia già da qualche mese nella sua fase terminale, invero quella negoziale. Tale negoziazione, tuttavia, passa anche attraverso le operazioni militari sul terreno (vale per tutti i conflitti, storicamente): ogni terminale energetico bombardato (da una parte e dall'altra), ogni cittadina persa o conquistata, nonché le narrazioni (non solo quelle pubbliche, ma anche quelle "interne" diplomatiche) impattano tutte sul processo negoziale.
Siamo verso una parabola discendente, questo è certo. Ciò non toglie che, in un conflitto che ha colto soprattutto l'Europa impreparata (anche "psicologicamente") e che oramai ha "stressato" i sistemi nervosi della politica internazionale, uno scossone di troppo potrebbe portare a una nuova fase di scontro. In questo contesto vanno lette anche molte delle dichiarazioni belligeranti (non ultime quelle di Rutte, come anche quelle di Peskov) che stiamo vedendo: è il linguaggio - ancorché rispetto a trent'anni fa si sia deteriorata l'etichetta - della negoziazione diplomatica di un conflitto".
