Esteri
“La guerra a Gaza non è mai finita: nessun passo verso la pace, anzi crescono i rischi”. L'esperto non ha dubbi
Parla l’esperto dell’ISPI, Luigi Toninelli

Trump e Netanyahu (Foto Lapresse)
“Manca la volontà di pace: Gaza verso una nuova occupazione?”, parla l'esperto
Altro che tregua. Tra il “no” categorico di Israele a uno Stato palestinese, l’IDF pronta a varcare la linea gialla e il processo di annessione in Cisgiordania che prosegue indisturbato, Gaza si ritrova di nuovo sull’orlo di una fase di occupazione stabile. A fare chiarezza sui reali obiettivi del governo Netanyahu e sui rischi di un’ulteriore escalation è Luigi Toninelli, Junior Research Fellow presso il Centro ISPI per il Medio Oriente e il Nord Africa, che ai microfoni di Affaritaliani smonta l’illusione che la guerra fosse davvero finita: “Il conflitto non si è mai interrotto e l’entusiasmo per il cessate il fuoco era ingiustificato”.
Tra l’ipotesi di una forza internazionale voluta dagli Stati Uniti e le tensioni alle Nazioni Unite, il futuro della Striscia resta avvolto in una spaventosa incertezza: “Senza un percorso concreto verso uno Stato palestinese – avverte Toninelli – ogni iniziativa rischia di fallire.”
Con Israele che ribadisce il “no” assoluto a uno Stato palestinese e l’IDF pronta a spingersi oltre la linea gialla, siamo davanti al preludio di una nuova fase di occupazione stabile di Gaza? Quali conseguenze regionali potrebbe generare questa scelta?
“La prima considerazione che gli eventi degli ultimi giorni impongono è che la guerra a Gaza non è mai finita. Al di là di quanto verrà deciso alle Nazioni Unite, le dichiarazioni di Netanyahu e del suo governo erano ampiamente prevedibili e rendono evidente quanto fosse ingiustificato l’entusiasmo per il cessate il fuoco siglato a Sharm el-Sheikh.
Oltre alle conseguenze regionali - come le voci ormai persistenti di una nuova fase di attacchi israeliani contro la Repubblica islamica - ciò che emerge con sempre maggiore chiarezza è che il conflitto non si è mai realmente interrotto. Mentre si discute di un possibile ampliamento dell’occupazione nella Striscia di Gaza, prosegue intanto il processo di annessione della Cisgiordania. Sono tutti segnali inequivocabili della mancanza di volontà di costruire un futuro di pace e un eventuale stato palestinese”.
Il piano USA di Trump per Gaza prevede una forza internazionale di stabilizzazione: è uno scenario realistico o rischia di trasformarsi in un protettorato occidentale senza legittimità locale? Chi potrebbe davvero accettare di mettere “boots on the ground”?
“Nelle scorse settimane l’Italia si era dichiarata pronta a fornire supporto a una missione internazionale a Gaza e un’eventuale pressione statunitense potrebbe convincere altri paesi a parteciparvi. Con la scadenza imminente del mandato di Unifil in Libano, giustificare il dispiegamento in un altro contesto regionale potrebbe risultare più semplice per quei paesi che già contribuiscono con soldati alle missioni Onu.
I problemi principali nascono però dall’assenza di una risposta chiara alla domanda: “missione internazionale per fare cosa?” Al momento non vi è chiarezza né sulle tempistiche di dispiegamento e ritiro, né sui compiti precisi che il corpo dovrebbe avere. Se la missione non sarà legata a un percorso concreto verso la creazione di uno stato palestinese, il rischio che si trasformi nell’ennesima iniziativa destinata a fallire è reale. Parlare di protettorato al momento appare eccessivo, ma il pericolo di impantanarsi e di finire per occupare una terra che dovrebbe diventare uno stato è tutt’altro che teorico”.
Con una risoluzione americana e una contro-risoluzione russa sul tavolo ONU, Gaza diventa il nuovo terreno di competizione tra Washington e Mosca? Che cosa cambia concretamente per Israele, per i palestinesi e per gli equilibri del Medio Oriente?
“Negli ultimi anni, i veti incrociati di Russia e Stati Uniti hanno più danneggiato che aiutato la Palestina, ma non parlerei di un nuovo terreno di scontro. La Russia ha ben altri problemi che competere con Washington su Gaza. Per capire cosa cambierà, sarà necessario osservare le decisioni delle Nazioni Unite, gli esiti della visita del principe saudita a Washington e la posizione che la Casa Bianca assumerà - o non assumerà - nei confronti di Israele. Al momento le domande superano le risposte, ma già nelle prossime ore il quadro potrebbe farsi leggermente più chiaro”.
