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Esteri
Terrorismo, ecco chi sono i lupi solitari

Lupi solitari — Esiste la concreta possibilità che stiamo vincendo la guerra al terrorismo. L’idea è difficile da mandare giù in quest’epoca di pessimismo regnante, ma per ora—incrociando le dita—i gesti terroristici sempre più si caratterizzano come azioni violente, terribili, ma tutto sommato modeste, compiute da mentecatti frangisti islamici che s’arrangiano con un camion o con un’ascia, più per “épater le bourgeois” che per abbattere uno stato nemico.

Scarseggiano ormai le grandi operazioni simil-militari—le Torri Gemelle (2.974 morti), gli attentati alle stazioni ferroviarie di Madrid (191 morti), il Bataclan (137 morti)—che hanno turbato i sogni dell’Occidente in questo secolo. Chiaramente non finisce qui, ma finirà. Tutto finisce. Quand’è così, come apparirà questo nostro momento visto dal futuro, quando potremo giudicarlo con più serenità?

Esiste un modello calzante: il grande isterismo internazionale di fine Ottocento per la “minaccia anarchica”, che sostanzialmente si concluse poi con l’assassinio dal bosniaco Gavrilo Princip dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e la moglie, Sofia di Hohenberg, a Sarajevo del 1914. L’evento scatenò—se non determinò—la Grande Guerra. Da allora “anarchia”, quando non è un semplice sinonimo di “caos”, è più un’etichetta da propagandisti che una minaccia reale.

Del terrorismo anarchico storico, poco è rimasto alla memoria. Mai però sono caduti assassinati così tanti capi di stato: il Presidente francese Sadi Carnot nel 1894; Antonio Cánovas, il Primo Ministro spagnolo (1897), l’Imperatrice Elisabetta d’Austria (1898), Re Umberto d’Italia (1900) e il Presidente americano McKinley (1901). Gli anarchici erano particolarmente noti come bombaroli. Gli attentati più famosi furono quelli alla Camera dei Deputati francese nel 1893, al Café Terminus l’anno dopo, e poi i 23 morti a una processione religiosa di Barcellona nel 1906. Senza il “callo” moderno, parevano tanti.

Il pericolo era vero e andava combattuto. I sistemi di controllo dei movimenti allora messi su “temporaneamente” sono ancora con noi. È la minaccia delle bombe anarchiche che ha irrigidito le frontiere e imposto l’uso universale delle carte d’identità e dei passaporti per i viaggiatori.

Il rischio era vero, ma molta parte della reazione era solo verosimile. La stampa di massa, allora appena nata, spettacolarizzava ogni possibile incidente, trovando una matrice anarchica anche negli eventi più improbabili. Un ricercatore ha identificato 67 pezzi d’apertura o editoriali sul tema degli “oltraggi anarchici” su un unico giornale australiano nei sette mesi tra ottobre del 1893 e il primo maggio del 1894. La polizia non era da meno. Il romanziere americano Frank Harris così ricordò la genesi del suo libro “The Bomb” (1909): “La popolazione americana era spaventata a morte… Ogni giorno la polizia di Chicago scopriva un nuovo ordigno. Pensai avessero messo su un laboratorio apposta per produrli. Poi vidi sul New York Leader che lo stesso tubo da gas era già servito da nuova bomba in sette diverse occasioni”.

L’epoca—la Belle Époque— è lontana, ma due lezioni restano: prima, che i diritti politici e umani ceduti per affrontare l’emergenza con ogni probabilità non verranno restituiti; poi, che molti dei fatti che crediamo di conoscere del terrorismo di oggi risulteranno falsi più in là nel tempo.

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