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L'Europa vuole diventare più green ma la strada è tutta in salita

La Von Der Leyen nel suo discorso al parlamento europeo dopo la proclamazione della commissione da lei presieduta, ha detto a chiare lettere che obiettivo prioritario della stessa sarà quello di perseguire una politica green e digitale, per fare del continente europeo un driver del mondo in questi ambiti. Bel proposito non c’è che dire, sia il problema dell’ambiente che quello della innovazione digitale sono due temi diventati ormai improcrastinabili. Ma i bei propositi, spesso, come si sa, si scontrano con la dura realtà dei fatti. L’Europa della sostenibilità e degli impegni per il clima è infatti ferma alle promesse fatte, e finora non mantenute, in seguito agli accordi di Parigi sul clima.

Perché praticamente tutti, nell’UE, dimostrano una certa noncuranza nell’attuazione di quello che pure hanno formalmente messo al centro dell’azione politica. European Climate Foundation lo scorso Maggio, ha in un suo report dettagliato descritto quale sia lo stato dell’arte sul tema ambiente e sostenibilità, in ogni singolo paese dell’Unione, sulla base dello stato di attuazione dei piani climatici concepiti per arrivare a produrre zero emissioni da qui al 2050. Il risultato? Un buco nell’acqua. “Il nostro lavoro dimostra che gli Stati membri dell’Ue chiaramente non sono in linea con la traiettoria zero al 2050”, sintetizza Julien Pestiaux, uno degli autori dello studio. “A parte poche eccezioni, i Paesi dell’Unione europea mostrano anche scarsa ambizione quando si tratta di raggiungere concretamente i propri obiettivi su energie rinnovabili ed efficienza energetica”. Insomma, non c’è la voglia di fare bene, e i numeri non lo nascondono. A oggi l’UE nel suo complesso ha realizzato neanche un terzo (29%) delle azioni di sostenibilità che si era promessa di realizzare. Lo Stato membro che più si è dato da fare è la Spagna, che è già a metà dell’opera (52%), tutti gli altri seguono: Francia (46,9%) Grecia (44,2%) e Svezia (42,8%). Addirittura la Slovenia, ultima, non ha fatto praticamente nulla (3,2%), e assai poco ha fatto la Germania (12,5%), terzultima in questa speciale graduatoria. Del resto si para di un Paese con una forte industria automobilistica, che proprio sinonimo di ecologia non è.

Ecco allora che quando la presidente della commissione afferma di volere che il Green sia elemento distintivo dell’Europa e che il suo impegno sia quello di far diventare l’Europa “ il primo continente al mondo a impatto climatico zero. Voglio che l'Europa sia all'avanguardia. Voglio un'Europa esportatrice di conoscenze, tecnologie e buone pratiche” si ha l’impressione di ascoltare parole al vento. E’ forte, infatti, l’idea che la commissione punti sull’ambiente come suo elemento distintivo, per evitare altri argomenti, altrettanto stringenti e importanti, legati all’austerity e alle politiche di bilancio, che hanno contraddistinto i cinque anni di quella precedente e che sono comunque anch’essi indirettamente legati a quello che si potrebbe fare per l’ambiente. Come diceva Andreotti, infatti, spesso è vero che “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca..” In questo caso, infatti, pensando al travaglio necessario per arrivare alla nomina della stessa Von der Layen e della composizione della sua commissione , nasce spontaneo il pensiero che la presidente abbia preferito puntare su un argomento condiviso, che potesse mettere d’accordo più o meno tutti, tralasciando volutamente altre questioni ben più controverse.

Ma la politica ambientale non si fa con le parole e con le promesse, ma con gli impegni e con tanti soldi ( secondo Frans Timmermans (Olanda), vicepresidente esecutivo Green deal europeo almeno 3000 miliardi di euro nei prossimi 15 anni). Sempre rifacendosi ai dati del report del European Climate Foundation proprio la Germania, che continua ad avere un ruolo centrale all’interno di questa Europa, sarebbe uno dei paesi meno virtuosi da questo punto di vista, anche per la sua grande dipendenza dal carbone ( che dovrebbe essere abbandonato non prima del 2038). Difficile pensare perciò che se il paese più forte economicamente e politicamente sia poi fra i meno attenti alle politiche ambientali, si possa riuscire ad ottemperare ai propositi di una delle Commissioni forse più deboli politicamente che si siano mai avute in Europa. E’ sicuramente utile parlare di ambiente e sostenibilità, ma sarebbe opportuno anche mettere i singoli paesi nelle condizioni migliori per poter approntare i piani e le misure occorrenti per un cambio di politica industriale. Anche qui perciò servirebbe un allentamento delle rigide politiche sul deficit, magari orientandole verso investimenti nel green, come il ministro dell’Economia Gualtieri aveva chiesto a Settembre, ricevendo a proposito rassicurazioni piuttosto vaghe.

Altrimenti parlare di ambiente rischia di diventare una sorta di foglia fico per nascondere le tante e troppe contraddizioni che ancora convivono in questa Europa. Crescere in consapevolezza ambientale, costruendo una serie di politiche ambientali ed industriali orientate alla sostenibilità e al rispetto ambientale potrebbe essere, in questo momento storico, una occasione unica per l’Europa unita, che conta sempre meno a livello geopolitico ed economico, stretta fra i due giganti Usa e Cina, di diventare davvero un motore di crescita in un settore con cui tutti prima o poi dovranno fare i conti ( più prima che poi). Le competenze e le possibilità ci sarebbero tutte e il nostro paese potrebbe essere uno dei paesi protagonisti del cambiamento, con le sue tante eccellenze per esempio nella economia circolare o in alcuni settori come quelli del biogas e dei biocombustibili. Ma la strada da fare per questa Europa è ancora tutta in salita, e i buoni propositi della Von Der Leryen rischiano presto di scontrarsi con la dura realtà del controllo dei bilanci, del deficit e dei parametri legati al nuovo Mes. Tutte misure che certo non aiutano ad investire in nuove tecnologie e nuove misure per la sostenibilità.

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