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Anatomia dello strazzo: D’inciampi e altri sospiri, di Nunzio Festa

Incorre nella tradizione e rincorre il passato Nunzio Festa con la silloge “Anatomia dello strazzo. D’inciampi e altri sospiri” per i tipi di “i Quaderni del Bardo Edizioni”. Non inciampa perché nel passato ci è nato e costituisce la sua storia, l’origine, in perfetta assonanza col presente racconta alla maniera dei grandi come passato e presente si possano incontrare senza perdere il filo dell’esistenza ma, intrecciando prosa e poesia, percorre con il suo “viatico” il viaggio.

“Il libro è un viatico di pensieri in collegamento” scrive Chiara Evangelista, mentre Francesco Forlani nella prefazione afferma che la poesia di Festa «è una lettera d’amore al femminile, da uomo “marcio per l’otto marzo”, non alla maniera lirica dunque ma nel trambusto di quelle processioni che a Matera si fanno per la Madonna Bruna, nascondendo la santa donna per poi distruggere il carro e le suppellettili del voto nello Strazzo, per celebrare “in viso e alle gote dei santi sui pudori della madonna”, la salvezza delle genti». 

Tra versi e prosa si stagliano i riti di una Lucania che rinasce con sacralità e blasfemia di un «tradimento dei dati / personali / gli sleali / corali» (p. 23) e “l’avvisaglia d’una posata tristezza” per una massa informe che ricerca il proprio sé. Si intravedono gli impulsi di un poeta che cerca “respiro da un covo / di rose” e “rompe uno specchio” rapito dal “terremoto del sentimento”; difatti si respira in modo mai superficiale il sentimento dell’amicizia, dell’amore per i propri cari, onesto come i versi che dedica all’amico “eccezionale” Alfonso Guida: «La solitudine / É gratitudine / Verso l’isolamento / Un testamento / La tragedia salva / Una classica vela / Da una fluttuazione / Oltre la concentrazione» (p. 49).  

In “Anatomia dello strazzo” sembra che l’Autore assuma un tono meno veemente e vendicativo rispetto a “Spariamo ai mandanti” dove si riflettevano pene e colpe da espiare, da un linguaggio tarantolato giunge a uno religioso. Quasi equilibrato: forse le responsabilità le ricerca in sé.

Festa è comunque un devoto della parola. È uno che vive la speranza, l’amore, la solitudine e nel pretesto di un incaglio ricerca un sospiro di gioia. Vive il presente e fa rivivere il passato e li conduce alla vita: vivere è il suo imperativo, forse non manifesto, ma presente, lo si annusa, lo si respira, nel frammezzo come un funambolo si dimena attento a non incespicare, a non cadere nell’abisso, con la consapevolezza chissà che in fondo si è sempre soli. Ovunque. Chiunque.

Solitaire et solidaire”: l’auspicio. Altrimenti: il vuoto. Ed è proprio in questo vuoto che Nunzio Festa pur cadendo non vuole restarci perché “di quell’io archetipico che domandava unità e compostezza non rimangono che briciole annacquate e gonfie d’aria” (Gisella Blanco); nonché di aria si vive e si sognano i pensieri, i filamenti di coccola, gli abbracci, le risa e… “il passaggio d’un bacio in vestito / di lieto presagio”. In particolare, Nunzio Festa in “Anatomia dello strazzo” sogna l’amore: «ogni volta / la prima volta come / una volta / ogni volta / una volta la prima / come ogni volta / una prima / volta» (p. 87), l’incantesimo della prima volta: l’incontro con Dio, col proprio simile, con l’altro in una pluralità ricercata sempre con affanno.   
 

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