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La verità sulle dimissioni di Nicoletti.Risolto il mistero della Rai. Il libro

Le improvvvise dimissioni dalla Rai nel 2004 del noto massmediologo Gianluca Nicoletti, sono sempre rimaste avvolte nel mistero. A più riprese Nicoletti ha parlato di un complotto ai suoi danni dei vertici di Rai e Rainet. Querelando Inoltre l'amministratore delegato di Rainet Alberto Contri per aver semplicemente alluso alla sua misteriosa uscita, invitandolo a non parlare mai di RAI. Querela vinta da Nicoletti in primo grado, ma riformata in Appello.

Passati molti anni e ottenuto finalmente giustizia, Alberto Contri racconta in un capitolo del suo nuovo saggio "La sindrome del criceto" come andò realmente la vicenda, rivelando particolari di una gravità difficilmente immaginabile, e che gettano una nuova luce su un personaggio da lui definito: "Il criceto chiagni e fotti".

In esclusiva per Affaritaliani il capitolo de “La sindrome del criceto” (edizioni La Vela) in cui Alberto Contri ricostruisce la torbida vicenda che stava per mettere a rischio il canone della RAI.

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IL CRICETO “CHIAGNI E FOTTI”

Parlando di radio, colgo l’occasione per raccontare finalmente il misterioso caso della fuoriuscita di Gianluca Nicoletti dalla Rai, dopo una lunga carriera dedicata in gran parte alla scrittura e alla conduzione di un curioso programma per RaiRadio1 intitolato Golem. Lo faccio anche perché in due libri (uno di Loris Mazzetti e uno suo) Nicoletti ha dato una versione dei fatti totalmente falsa, che non ho smentito pubblicamente dato che era in corso un processo per diffamazione tra me e lui, e non volevo interferire. Ora finalmente posso raccontare la vera storia, che in fondo è la storia di un criceto che potrei definire “chiagni e fotti”, come dicono a Napoli.

Andiamo per ordine.

Nel 1998 fui chiamato a far parte del CdA della Rai presieduto da Roberto Zaccaria. Date le mie competenze, mi feci assegnare la delega per i nuovi media, che contribuii a costruire in maniera significativa. Tra tutti ero certamente il consigliere più distaccato dalla politica, e mi divertivo a dare, quando potevo, testimonianze di indipendenza. Tra queste c’erano dei seminari conviviali che organizzavo in una pizzeria di piazzale Clodio, ai quali invitavo i “cani perduti senza collare”, come li chiamavo, cioè giovani giornalisti e dipendenti in gamba poco legati alla politica, che in Rai pervade tutto. Tra questi avevo scelto anche Nicoletti, per il suo acume e la sua intelligenza, insieme a un paio di suoi collaboratori molto svegli. Si parlava a ruota libera, era una specie di brain storming conviviale alla caccia di nuove idee e nuovi metodi di lavoro.

Intanto il CdA approvava la nascita di RaiNews24, di RaiClick e di RaiNet, le piattaforme destinate a essere gli avamposti della Rai nel campo dei nuovi media. Al momento delle nomine, io proposi Nicoletti — per la sua fama di innovatore — sia come direttore editoriale che come direttore giornalistico di RaiNet (dato che la società partecipata avrebbe dovuto avere anche una testata Internet). Dare due incarichi così importanti alla stessa persona: ecco quale fu il primo errore.

Come spesso succede in Rai, le iniziative avviate non furono dotate di grandi risorse e per un po’ di tempo vivacchiarono.

Nel 2002, venne a scadenza il mio secondo mandato biennale nel CdA. Così mi misi d’impegno, sfinendo chi aveva potere sulle nomine, e in capo a un anno riuscii a essere nominato amministratore delegato di RaiNet. Da quel posto non si gestivano soubrette, non c’erano ricchi appalti da amministrare, non giravano soldi, e soprattutto nessuno aveva la minima idea di cosa fosse Internet e cosa c’entrasse con la Rai. Così mi nominarono amministratore delegato pensando che non fosse affatto una carica importante. Ma io avevo intuito l’opportunità di una grande sfida professionale.

Appena insediato, mi accorsi che la piccola società partecipata era in condizioni molto precarie: i dipendenti erano demotivati, c’era un impressionante numero di assenze per malattia e diversi problemi gestionali e organizzativi si erano incancreniti.

Mi misi al lavoro di buona lena, cercando di affiancare Nicoletti e la sua vice-direttrice, senza risparmiare né consigli né tempo, ricordo infatti le lunghissime telefonate che ci facevamo anche durante i weekend. Nel frattempo avevo individuato alcuni elementi chiave — come il responsabile degli Affari Legali, il responsabile dell’Informatica, e la responsabile dei Contenuti, dirigenti e funzionari molto preparati e molto interessati allo sviluppo della neonata RaiNet — sui quali decisi di fare affidamento per ricostruire il clima e rendere più efficiente l’organizzazione.

Man mano che le cose cominciavano a migliorare, anche grazie al loro impegno (e pian piano anche di tutti gli altri collaboratori, contagiati dal nuovo clima, come se si fossero risvegliati da un incubo), Nicoletti continuava a condurre Golem a RaiRadio1 e a fare la spola tra Saxa Rubra, sede della redazione giornalistica di RaiNet, di cui era direttore, e via Teulada, sede principale di RaiNet, di cui era direttore editoriale. Non era facile trovarlo: spesso, quando lo si cercava a Saxa risultava in viaggio per Teulada, quando lo si cercava a Teulada era in viaggio per Saxa.

Nell’autunno 2004 mi chiese l’autorizzazione a tenere nel fine settimana dei corsi di multimedialità all’università di Pisa, e io ne fui contento, proponendogli anche di creare un qualche laboratorio che coinvolgesse RaiNet, in quanto sono sempre stato un sostenitore della collaborazione impresa/università.

Per discutere i tanti progetti che avevamo cominciato a costruire, erano necessarie continue riunioni, ma Nicoletti spesso tardava o non veniva, e soprattutto di venerdì non era mai disponibile. Quando gli mandai un primo richiamo, mi scrisse che essendo direttore giornalistico non doveva rispondere a nessuno (sic).

Un giorno un nostro collaboratore mi chiese se avessi mai visitato il sito web di Golem. Alla mia risposta negativa, mi mostrò lo screenshot di una pagina in cui Nicoletti aveva pubblicato gli orari del suo corso a Pisa, che si teneva… di venerdì. Uno strano modo di concepire il “fine settimana”. Così gli inviai una lettera di contestazione, a cui rispose con argomentazioni aggressive e fumose. Ma alla fine preferì rinunciare all’insegnamento.

(Segue...)

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