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Alkemy, il primo digital enabler italiano. L'intervista

Affari Italiani ha incontrato Alkemy, il primo digital_enabler italiano: il suo obiettivo è far crescere sensibilmente il business delle aziende, accompagnandole attraverso le repentine trasformazioni portate dal digitale. Dal 2012, anno in cui è nata, è arrivata a chiudere il 2016 con un fatturato di oltre 40milioni di euro: ora punta a raggiungere i 100 milioni nei prossimi tre anni.

Alkemy si racconta ad Affari Italiani, attraverso le parole del suo Vice Presidente, Alessandro Mattiacci.

Alkemy nasce nel 2012 dall'unione di intenti di alcuni soci: oggi è passata a 300 persone e un fatturato di oltre 40 milioni di euro. Com'è stata possibile una crescita così importante?

'Alkemy nasce dall'unione di più soci: i fondatori, che hanno ideato il progetto ovvero io, Duccio Vitali, Matteo De Brabant e Riccardo Lorenzini, e altri soci imprenditori, che gradualmente sono entrati a far parte dell’azionariato. La storia di Alkemy è un progetto di aggregazione industriale, siamo partiti dall'idea di riunire tutte le eccellenze del digitale in Italia, per aiutare le imprese e i clienti in un percorso di valorizzazione dei propri asset e del proprio business grazie a queste discipline. È una storia a metà strada tra un percorso di crescita organica e un percorso di acquisizioni. Nello specifico, occupandomi proprio di acquisizioni, posso affermare che con il lavoro fatto fino ad oggi, abbiamo strutturato un'offerta che comprende tutte le discipline del digitale. Il nostro primo obiettivo infatti era quello di ottenere un portafoglio di offerte e di competenze che consentisse agli amministratori delegati di avere tutte le armi a disposizione per poter scaricare sul proprio conto economico il potenziale del digitale.

Ora guardiamo al futuro in maniera diversa. I progetti svolti finora hanno dimostrato l'efficacia di questa formula, tuttavia pensiamo che il ruolo di Alkemy come digital_enabler debba evolvere: le aziende hanno gradualmente interiorizzato questa cultura, sul tavolo degli amministratori delegati, la parola digitale è ormai in bold. Il nostro obiettivo è di posizionarci  come partner nell'innovazione dei canali e dei touchpoints, non solo digitali, ma anche fisici.

C'è poi lo sguardo oltre confine:

'L'altra direttrice di crescita di Alkemy, è lo sviluppo internazionale: un'azienda da 40milioni di euro è piccola, nonostante nel digitale sia  comunque grande. Per noi però non è abbastanza. Alkemy  mira a diventare un'azienda da almeno 100 milioni di fatturato nei prossimi tre anni e per velocizzare questo percorso abbiamo la necessità di guardare fuori dai confini italiani. Già lo scorso anno abbiamo aperto un ufficio a Belgrado: qui l’idea è duplice, da una parte portare l'approccio di advisory, di consulenza digitale sul tavolo delle aziende, sopratutto di servizi, come le banche. Guardiamo ai Balcani come un territorio di nearshoring: ci sono professionalità  molto valide, ottimi sviluppatori - l’obiettivo è di costruire delle fabbriche, o meglio degli atelier di alto artigianato del software. Abbiamo già un team locale importante e  il nostro team di Milano che fa da ponte. Stiamo inoltre mirando alla Spagna, un paese culturalmente vicino al nostro da utilizzare soprattutto come ponte con il mondo latino americano'.

Ci hai già preannunciato le prossime azioni di Alkemy in campo internazionale, ma facendo un piccolo passo indietro, avete in cantiere anche qualche altra acquisizione all'interno dei confini italiani?

'Siamo in contatto con una serie di imprenditori, ci sono diversi ambiti in cui Alkemy ha la volontà e l'esigenza di consolidare delle competenze. Stando al nostro modello non si tratta di acquisizioni finanziarie, ma  di “matrimoni tra imprenditori”, dove si ritrova quell'alchimia, tra quello che è il nostro interesse per una competenza e il fitting personale con gli imprenditori. Cerchiamo imprenditori che vedano in Alkemy  una seconda start-up, un percorso da fare insieme. Quindi per rispondere alla tua domanda sì, stiamo valutando acquisizioni anche in Italia. Con un'azienda nello specifico siamo in una fase piuttosto avanzata, potrebbe quindi capitare che a breve ci sposeremo, di nuovo, con un'altra realtà'.

Lo sguardo è già stato rivolto oltre confine, come hai poc'anzi spiegato, quindi ti domando: esiste in un futuro anche non troppo vicino, la possibilità che Alkemy abbandoni totalmente l'Italia, in favore di qualche altro Paese?

'No, non è un'opzione contemplata. Tra i sottovalori legati all'eticità c'è il fatto che viviamo in un Paese che amiamo e quindi anche noi dobbiamo fare la nostra parte per il nostro Paese. Ciò significa rimanere in Italia, cercare di crescere in Italia e far crescere anche le persone che lavorano con noi. In sostanza essere il più grandi possibili, qui'.

Alkemy è un'azienda che si discosta dalle classiche imprese italiane, è senza dubbio un modello. Nel corso di un'intervista Duccio Vitali ha dichiarato: 'Il digitale è una delle poche forti opportunità di crescita e sviluppo per le aziende italiane'. Qual è dunque il modo per poterla cogliere in maniera duratura e profonda?

'Se fossi l'amministratore delegato di una grande azienda italiana, il primo aspetto su cui interverrei è l'organizzazione interna. Questo perché nella maggior parte delle aziende l'offering, il go to market è lo specchio dell'organizzazione interna. Ci sono molte realtà organizzate in maniera disorganica rispetto al mercato. Basti pensare che ci sono capi del digitale e capi del marketing, che di per sé è già un ossimoro. I manager italiani sono molto competenti, ma riscontrano troppa rigidità all'interno dell'azienda nell'effettuare delle scelte non conservative. Il secondo punto è un processo di innovazione che deve essere top down. Ci troviamo in un momento in cui le aziende multinazionali, nel 99% dei casi straniere, immettono sul mercato nuovi modelli di consumo: i consumatori sono molto cinici, alcuni modelli li adottano, altri li rifiutano. Se li adottano, lo fanno in maniera massiva, a quel punto le nostre aziende non devono far altro che rincorrere dei nuovi modelli di consumo imposti da altri, dove fondamentale è la velocità di reazione. Naturalmente la velocità è figlia dell'organizzazione e del capitale umano che l'azienda possiede'.

Il concetto di velocità in Italia manca come del resto scarseggia la mancanza di apertura verso il nuovo e nel caso specifico verso il mondo digitale, che molto spesso viene percepito più come un ostacolo che come una possibilità di sviluppo del proprio business. Come mai?

'Credo che questo sia fortemente legato al DNA degli italiani. L'italiano è un genio sul prodotto, ma non nel marketing. Nella sfera del marketing noi siamo più dei follower: non ci inventiamo nuove formule di vendita, ci inventiamo prodotti nuovi. Un altro aspetto importante da tenere in considerazione è  la profonda distinzione tra le aziende manageriali da quelle imprenditoriali. Queste ultime spesso ci stupiscono: è l'imprenditore che con la giusta intuizione crea modelli e formule assolutamente innovative, che hanno un'ascesa rapida (ad esempio Eataly, Yoox)'.

Nello specifico, quale sarà il futuro prossimo dell'E-commerce in Italia?

'Sarà una sorta di Tsunami che porterà a una rivisitazione delle strategie di canale. Oggi ci troviamo dinanzi a molte aziende che investono sul canale digitale per capire come funziona, altre perché non possono farne a meno, ma sono convinto che in una decina d'anni massimo ci sarà un unico direttore commerciale che avrà un budget  sul consumatore finale che comprenderà tutti i canali. E questo sarà il vero punto di svolta per un'orchestrazione strategica e tecnologica dell'azienda'.

Tra i vostri clienti si annoverano realtà importanti, molto diverse tra loro, come GENERALI, A2A, FASTWEB, FERRAGAMO, SIAE, LUXOTTICA, ALESSI E PLASMON, quale cliente potrebbe rappresentare per voi, la sfida più grande?

'Credo che la vera sfida sia acquisire clienti multinazionali, e avere la possibilità di costruire progetti che impattino su scala, appunto, multinazionale. Alkemy lavora con tutte le Industry, per ora siamo specialisti di canale, ma un'altra delle nostre direttrici di crescita è proprio quella di creare delle verticali di industry, cosa che peraltro si sta già avverando'.

I vostri valori sono riportati sul vostro sito, racchiusi nella parola EPIC (eccellenza, passione, integrità e concretezza): com'è nata questa associazione?

'Qui il merito è di Riccardo, che ha condensato in questo set di valori, le nostre chiacchierate intorno a un tavolo, prima della nascita di Alkemy. Credo che la sintesi di tutto sia stata la volontà di creare un'azienda che riunisse persone per bene, legate da stima reciproca, che vedono nel lavorare insieme un enorme valore. Noi, in fondo, a lavorare insieme ci divertiamo e ci siamo accorti col tempo che tutte le persone che si sono aggiunte alla nostra squadra avevano le medesime caratteristiche. Siamo convinti che questo aspetto si trasferisca come valore anche sui clienti: quando costruiamo un progetto, lo facciamo con passione e integrità, con lo scopo di portare valore al cliente. I nostri valori sono stati quindi condensati iniziando dalla pratica, lavorando insieme. In altre parole sono la sedimentazione dell'esperienza del lavoro comune, sono venuti ex post'.

Lavorare in Italia vuol dire anche avere a che fare con una complessa macchina burocratica e una legislazione che non di rado complica la vita alle aziende. Cosa ha significato per voi?

'In realtà questa rischia spesso di essere una scusa; si riesce assolutamente a lavorare e costruire il proprio business, al di là delle nostre esperienze internazionali, tutti noi abbiamo lavorato per la maggior parte del tempo in Italia. Il digitale poi, nello specifico, ha aperto negli ultimi anni tantissime opportunità'.

Per concludere, un'ultima domanda dal significato simbolico. Partendo da una citazione che Duccio Vitali ha riportato in un'intervista 'il bello del deserto è che nasconde sempre un pozzo da qualche parte', ti domando: ma se il pozzo si rivelasse poi un miraggio?

'Ci sarà sicuramente un altro pozzo dietro un'altra duna. Noi regolarmente commettiamo errori, io e gli altri soci facciamo anche il punto dei cosiddetti post mortem, ovvero di tutte quelle iniziative che abbiamo messo in piedi, ma che poi non sono andate a buon fine. I fallimenti ci sono sempre, guai se non ci fossero, la differenza è cosa impari dal fallimento. Quello che abbiamo imparato finora è che innanzitutto è più facile fare operazioni grandi che piccole e poi bisogna sempre puntare in alto, perché se punti veramente in alto, poi alla fine raggiungi l'obiettivo. Infatti credo che la storia che piace (e che poi si avvera), che noi raccontiamo agli imprenditori a cui ci rivolgiamo, è che insieme possiamo alzare ancor di più l’asticella'.

Grazie ad Alessandro Mattiacci, per la sua chiarezza e disponibilità.

Beatrice Elerdini

 

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