Come salvare la cultura a Milano? L'unica soluzione è farci colonizzare - Affaritaliani.it

Milano

Come salvare la cultura a Milano? L'unica soluzione è farci colonizzare

Francesi, austriaci e canadesi alla guida delle perle milanesi della cultura

di Ugo Poletti

Georges Clemenceau disse: “La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari”. Parafrasando il famoso primo ministro francese si potrebbe dire: “la gestione della cultura è una cosa troppo importante per lasciarla in mano agli italiani”. E come una conferma a questa provocazione, negli ultimi anni abbiamo assistito a una serie di nomine di direttori stranieri al vertice di prestigiose istituzioni culturali, soprattutto a Milano. Tutto incominciò con l’arrivo del francese Stéphane Lissner alla direzione della Scala, per porre termine ad una lunga faida interna ai vertici del Piermarini. Dopo di lui l’austriaco Alexander Pereira, proveniente dalla direzione dell’Opera di Zurigo e del festival di Salisburgo. Poi è arrivata la nomina nell’estate scorsa del canadese James Bradburne alla Pinacoteca di Brera (con grande scandalo per la casta dei direttori di carriera ministeriale). Infine, la recente nomina del parigino Ralph Alexandre Fassey alla presidenza del Conservatorio Giuseppe Verdi. Un manager dell’industria farmaceutica, amico personale del padre dell’avanguardia musicale elettronica Stockhausen. Personaggi con storie personali molto diverse, ma accomunati da una ricca storia professionale e dalla convinzione della necessità di sostenere la cultura sia con fondi pubblici che con contributi privati.

Quindi, buone notizie per Milano. Se vogliamo diventare una capitale internazionale e sfidare con la nostra offerta culturale Parigi, Londra, Berlino e New York, abbiamo bisogno anche di bravi manager culturali, che portino nuove idee e competenze moderne nella gestione di musei e teatri. E non c’è bisogno di essere esterofili per vedere i disastri di alcune gestioni nazionali (come gli scavi di Pompei) o musei famosi chiusi per cattiva programmazione in giornate affollate di turisti. Insomma, le istituzioni culturali hanno bisogno più di manager che capiscono la cultura, piuttosto che di professori che non sanno niente di management. Avere delle esperienze internazionali è un’occasione stimolante che può scuotere il mondo museale e teatrale spesso politicamente protetto e chiuso al confronto con la concorrenza straniera. Inoltre, la sfida di attrarre donazioni e investimenti privati nella cultura è molto importante, anche perché apre il patrimonio artistico alla partecipazione diretta della cittadinanza. Non dimentichiamo che il Duomo è stato costruito grazie ai contributi volontari di cittadini e corporazioni dei mestieri milanesi (incluse le prostitute).

Non è solo una questione di nazionalità, ma anche di rotazione degli incarichi. Non bisogna avere paura di dire che avere la stessa persona per lungo tempo a capo di un’organizzazione, non solo culturale, non fa bene alla gestione. Anche il più bravo direttore, dopo i primi anni di impegno e voglia di fare cambiamenti, si siede e si dedica alla conservazione del proprio potere, avversando novità e talenti che possono minacciare il suo ruolo. E’ nella natura delle cose. A questo proposito è utile ricordare il paradosso del Principio di Peter:

In un’organizzazione meritocratica ognuno viene promosso fino al suo livello di incompetenza. Cioè se una persona sa fare bene una certa cosa, la si promuove per farne un’altra. Il processo continua fino a quando ognuno arriva al livello di ciò che non sa fare. E in quella posizione rimane..”.

In sintesi, se un direttore di un museo, di un teatro o di una fondazione non si sposta più dopo tanti anni, è probabile che non sia più così bravo e che nessun’altra istituzione voglia offrirgli un incarico. Se andiamo a spiare sul web le carriere di chi guida alcune storiche istituzioni milanesi, scopriremo che ci sono direttori in carica da più di 15 anni. E forse questo potrebbe spiegare come mai alcune nostre perle culturali non ottengono più i risultati di un tempo, come spettatori, visitatori o riconoscimento pubblico per l’attività svolta, non per la gloria passata. Insomma, visto che una certa inerzia protegge ancora certi incarichi, ben vengano manager culturali dall’estero!








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