È l’estate dell’urbanistica, a Milano. E in città ci si interroga: è davvero finito il “modello Milano”? - Affaritaliani.it

Milano

Ultimo aggiornamento: 17:39

È l’estate dell’urbanistica, a Milano. E in città ci si interroga: è davvero finito il “modello Milano”?

Il modello della “città attrattiva” va ripensato, guardando alla Città Metropolitana per ricostruire equità e futuro politico. Il commento

di Giordano Ghioni

È l’estate dell’urbanistica, a Milano. E in città ci si interroga: è davvero finito il “modello Milano”, che ha trasformato il capoluogo lombardo da periferia industriale a centro internazionale?

C’è chi quei risultati non li rivendica, e oggi sembra quasi aspettasse il momento della rivincita: un “noi ve lo avevamo detto” che poco aggiunge al dibattito - anche perché, caro vita e caro casa non sono problemi solo milanesi . E c’è chi, al contrario, si trincera dietro quanto fatto, rifiutando ogni messa in discussione. Entrambi gli atteggiamenti sono miopi.

Milano ha vinto sfide importanti: internazionalizzazione, infrastrutture digitali e trasporti (negli ultimi 13 anni sono nate due nuove linee metro, più vari prolungamenti), e ha saputo affrontare crisi complesse mostrando una forte tenuta sociale. Basti pensare all’arrivo dei profughi siriani, o a quello degli ucraini. Se oggi non ne resta traccia nel dibattito pubblico, è perché quelle fasi sono state gestite.

Ma non tutto è andato per il verso giusto. La riqualificazione di ex aree industriali, capannoni e laboratori ha avuto un costo sociale. Quartieri prima marginali sono diventati appetibili, e la pressione immobiliare è cresciuta. Oggi, al di là delle inchieste – su cui farà luce la magistratura, e chi ha sbagliato dovrà rispondere – resta sul tavolo una questione politica. E le riflessioni possibili sono molte.

Milano ha reagito al post-Covid con una strategia precisa: la “Città a 15 minuti”, dove ogni servizio deve essere accessibile in un quarto d’ora. Un’idea ambiziosa, in un’area dieci volte più piccola di Roma, ma con metà dei suoi residenti. La visione ha funzionato: la città è ripartita, e forse corre più di prima. Ma ha anche accelerato tensioni sociali latenti, che oggi esplodono come un incendio riacceso dal vento.

La vera domanda, ora, è: come ne uscirà Milano? A molti potrà sembrare provocatorio, ma non serve un “nuovo centrosinistra”. I valori che hanno guidato quindici anni di governo non sono stati quelli della finanza o della rendita, come qualcuno insinua. Anche perché, se davvero fosse così, nessuno dei protagonisti delle giunte e dei consigli comunali degli ultimi anni potrebbe pensare di avere ancora un ruolo: dovrebbe chiedere scusa e farsi da parte.

Il punto, semmai, è un altro: Milano deve trovare le risposte nella sua Città Metropolitana. In quella provincia che in questi anni si è sentita esclusa, mentre il capoluogo attirava imprese, talenti e risorse senza redistribuirle. Comuni e zone omogenee – un tempo con una propria identità – sono diventati semplici dormitori.

Questo non può essere il futuro. Attorno a Milano ci sono sette aree individuate dalla Legge Delrio, ciascuna con caratteristiche e potenzialità oggi sopite. È lì che bisogna guardare. Se Milano – e soprattutto la sua classe dirigente – saprà cogliere questa sfida, allora la stagione del centrosinistra non è finita. Ma servirà coraggio. Non solo per redistribuire la ricchezza, ma anche le opportunità: di lavoro, di studio, di costruire una famiglia.

Di Giordano Ghioni, consigliere comunale a Cormano (MI) per il Partito Democratico








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