Milano
Milano, la memoria del Comune: “Urbanistica, il piano attuativo non è un principio assoluto”
Palazzo Marino si adegua alle indicazioni della Procura “per prudenza amministrativa”, ma sostiene che la norma sull’obbligo di pianificazione debba essere interpretata alla luce del contesto storico

Milano, la memoria del Comune: “Urbanistica, il piano attuativo non è un principio assoluto”
Il Comune di Milano ha scelto di adeguarsi alle indicazioni della Procura e ai provvedimenti del Gip sull’urbanistica, in un’ottica di “bilanciamento degli interessi e di prudente amministrazione”. È quanto si legge nella memoria firmata dall’avvocatura di Palazzo Marino – Antonello Mandarano, Paola Cozzi e Maria Lodovica Bognetti – depositata nei procedimenti in cui alcuni costruttori hanno impugnato la decisione dell’amministrazione di “orientare temporaneamente” gli iter edilizi alle richieste dei magistrati che da tre anni indagano su abusi edilizi, lottizzazione abusiva, falso, false dichiarazioni e, nel secondo filone, corruzione, traffico d’influenze, tentata concussione e turbativa d’asta.
Secondo la memoria, come riferisce LaPresse, l’obbligo di piano attuativo per la costruzione di edifici con impatto significativo non costituirebbe un “principio inderogabile assoluto”, ma andrebbe interpretato come strumento volto a “garantire l’inserimento razionale dei volumi edilizi sul territorio”. Una norma che, ricorda l’amministrazione, nasce nel 1942 e viene poi ribadita nel 1968, un contesto storico molto diverso dall’attuale assetto urbanistico delle città.
Nell’ultimo quindicennio, Palazzo Marino ha sostituito il piano attuativo con l’uso di titoli edilizi diretti – permessi di costruire e Scia – accompagnati da convenzioni urbanistiche o atti unilaterali d’obbligo, strumenti che avrebbero svolto “la stessa funzione” del piano nel regolare l’inserimento dell’edificio nel quartiere. Una pratica diffusa soprattutto nei NIL, i Nuclei di identità locali mappati dal Pgt dal 2012 in poi: 88 aree che l’amministrazione considera già dotate di servizi pubblici adeguati ad accogliere nuovi abitanti e nuove funzioni. Per il Comune, inoltre, l’obbligo di una pianificazione di dettaglio dovrebbe oggi tenere conto dei “mutamenti intervenuti”, sia nell’assetto delle città sia nella “disciplina normativa” più recente, oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regione Lombardia.
La posizione della Corte di Cassazione
La memoria dovrà confrontarsi nei processi con le posizioni della Procura e con le sentenze già depositate. In particolare, la Cassazione penale del 21 luglio 2025 ha ribadito che i piani attuativi rappresentano il “mezzo” attraverso cui attuare il Piano regolatore generale o il Pgt, veri strumenti politici di indirizzo urbanistico votati da giunte e consigli comunali. Sono ritenuti necessari per pianificare e “potenziare” i servizi, rendere “armonico” il raccordo fra le aree esistenti e i nuovi interventi, anche nelle zone “completamente edificate” e già urbanizzate.
Per i giudici, l’assenza dei piani attuativi rischia di favorire un “processo di urbanizzazione incontrollata”, con agglomerati privi delle infrastrutture primarie e secondarie necessarie e con conseguenti “ingenti spese” a carico della pubblica amministrazione. La valutazione dei servizi dovuti alla popolazione, osserva la Cassazione, presuppone la conoscenza del progetto edilizio – volumi, densità, altezze – e del relativo impatto in termini di abitanti, usi e funzioni previste.












