La “Tosca” di Gamba e Livermore perfetta macchina musicale e teatrale - Affaritaliani.it

Milano

La “Tosca” di Gamba e Livermore perfetta macchina musicale e teatrale

Spettacolo perfetto, quello di venerdì 4 aprile a Milano. Quando vuole fare La Scala (non sempre lo fa) e ci riesce, non ce n'è per nessuno

Di Francesco Bogliari

La “Tosca” di Gamba e Livermore perfetta macchina musicale e teatrale

È raro uscire da teatro con la consapevolezza di aver assistito a uno spettacolo perfetto in tutte le sue componenti: direttore e orchestra, compagnia di canto, coro, regia, scene, costumi, luci. Ecco, venerdì sera il vostro cronista è uscito dalla Scala col sorriso sulle labbra e la gioia nel cuore. Perché la “Tosca” appena ascoltata era stata, appunto, uno spettacolo perfetto.

Erano bastate le prime quattro battute, con gli accordi dissonanti degli ottoni eseguiti con rara forza drammatica, per capire che l'orchestra era in serata di grazia. E per tutti i tre atti la compagine scaligera ha brillato sotto la bacchetta di Michele Gamba, il quarantunenne direttore milanese già da noi ammirato tre anni fa nel “Rigoletto” di Martone e nel gennaio 2023 come accompagnatore al pianoforte di Markus Werba nella “Winterreise” di Schubert. Gamba non si limita a battere il tempo e a dirigere il traffico degli strumenti: interpreta. Ha tempi tutti suoi, adotta agogiche a volte estreme (in questo ricorda l'imprevedibilità di Daniele Gatti), ma legate da una coerenza interpretativa di eccezionale spessore musicale. Una lettura più espressionista che verista: basterebbe solo questo a farcelo amare. L'orchestra brilla, in particolare nella sezione dei fiati che dà all'intera partitura vigore e densità, e negli archi scuri che ne sostengono le geometrie di fondo con vibrante nitore. Tutto magnifico.

Enkhbat, Isotton, Meli: una magnifica compagnia di canto

Altrettanto magnifica la compagnia di canto, che era il primo cast con l'eccezione di Scarpia. Anche se parlare di “secondo cast” per Amartuvshin Enkhbat suona come una bestemmia. Il baritono mongolo dispone di uno strumento vocale portentoso per volume, colore e armonici. Ci aveva già folgorato nel ricordato “Rigoletto” del 2022, e in questi tre anni ha lavorato a fondo per migliorare l'interpretazione al di là della voce, perché se c'è un personaggio ricco di sfumature psicologiche è proprio Scarpia, il “bigotto satiro che affina colle devote pratiche la foia libertina”. Migliorabile ancora come attore, Enkhbat non ha fatto rimpiangere il titolare della parte Luca Salsi (probabilmente il miglior baritono in attività a livello internazionale) che aveva cantato nella maggior parte delle recite precedenti.

Tosca era Chiara Isotton, quarantenne bellunese scoperta nel 2013 dal Lirico Sperimentale di Spoleto e da allora lanciata verso le mete più prestigiose. Voce potente, equilibrata in tutti i registri, capace di pianissimi morbidi e acuti di grande forza, scenicamente carismatica, è ormai a livello europeo una delle migliori interpreti nel repertorio verdiano e pucciniano. Ma a sommesso parere del vostro umile cronista, avrebbe tutti i numeri per allargare il suo repertorio da soprano lirico spinto a soprano drammatico, arrivando a Wagner.

E poi Francesco Meli, più volte ascoltato in teatro da chi scrive, venerdì sera ha fornito una delle sue interpretazioni più convincenti. Il quarantaquattrenne tenore genovese non ha lo squillo stentoreo alla Del Monaco (e questo, per essere chiari, alle nostre orecchie è un pregio), in compenso ha morbidezza di espressione e fraseggio, luminosità delle espansioni verso i registri alti, capacità di trasmettere commozione all'ascoltatore. “Recondita armonia” è stata morbida luce, “E lucevan le stelle” puro dolore interiore, ma la cosa più bella, forse di tutta l'opera, è stato il duetto del terzo atto fra Mario e Tosca, con un “Oh dolci mani” da sciogliere i ghiacci dell'Artico (Trump, se vuoi conquistare la Groenlandia, porta Meli a cantare a Nuuk: gli iceberg si scioglieranno e le tue portaerei potranno prendere il dominio delle rotte bianche...).

Comprimari di primissimo livello, il coro della Scala è patrimonio dell'Umanità

Infine i cosiddetti comprimari: ci vorrebbe una legge che vietasse di usare questa parola quando gli interpreti sono Carlo Bosi (Spoletta) e Marco Filippo Romano (Il sagrestano), artisti di primissimo livello che ci si aspetterebbe sempre di ascoltare in parti più rilevanti.

Il Coro istruito da Alberto Malazzi? Chevvelodicoaffare... un “te Deum” magistrale, a conferma di quanto il vostro cronista sostiene da tempo: il Coro della Scala – qui affiancato dalle voci bianche di Bruno Casoni – è patrimonio dell'Umanità (Unesco, sbrigati!).

La Tosca di Livermore, una produzione scaligera che regge il tempo

Lo spettacolo di Davide Livermore (ripreso da Alessandra Premoli; scene di Giò Forma, costumi di Gianluca Falaschi, luci di Antonio Castro e video di D-Wok) non era nuovo su questo palcoscenico, avendo inaugurato la stagione il 7 dicembre 2019 (della compagnia di canto attuale c'erano Meli e Salsi). Visto all'epoca in diretta tv, dal vivo in sala mantiene tutta la sua forza teatrale; i cantanti recitano con sguardi, gesti e movimenti anche quando non cantano (è come il gioco senza palla in una partita di calcio, spettacolo nello spettacolo per chi sa vedere). Scenografie troppo cariche al gusto dello scrivente, ma mosse in maniera intelligente da farle sembrare leggere (spettacolare l'alzata del palcoscenico per far comparire la prigione dove Mario viene torturato, e sopra di lui Scarpia e Tosca combattono la loro battaglia di amore, potere e morte). Di grande forza poetica l'idea di far volare verso il cielo Tosca che si è appena gettata dai bastioni di Castel San'Angelo e di forte impatto visivo i tanti innesti video. Una produzione scaligera che regge il tempo.

Spettacolo magnifico a cui il pubblico (tra cui già molti stranieri arrivati in città per il Salone del Mobile: era percepibile la diversità “culturale” di questa audience rispetto a quella dei turisti internazionali che riempie abitualmente la sala) ha decretato il meritato successo. Alla fine, viva sempre Giacomo Puccini, e viva La Scala, che quando vuole fare La Scala (non sempre lo fa) e ci riesce, non ce n'è per nessuno.

Articolo basato sulla recita di venerdì 4 aprile.
 








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