L’Italia perde l’automotive, la Cina detta le regole e la Germania costruisce carri armati - Affaritaliani.it

Auto e Motori

L’Italia perde l’automotive, la Cina detta le regole e la Germania costruisce carri armati

Tra saloni cinesi dominati da supercar elettriche e Berlino che investe nel riarmo, l’Italia assiste impotente al crollo del suo storico settore industriale.

Giovanni Alessi

Una volta era un vanto nazionale. Oggi è quasi un ricordo sbiadito. L’automotive italiano – quello vero, fatto di industria, ricerca, marchi iconici e centralità strategica – sta sparendo.

Lentamente ma inesorabilmente. Mentre la Cina investe miliardi nelle auto di lusso e la Germania si prepara a costruire più carri armati che berline, l’Italia sembra fuori dai giochi.

Ci raccontano che siamo la “fabbrica dei componenti d’Europa”. Ma una fabbrica che produce pezzi per altri non è un sistema industriale: è un’area logistica.

Shanghai, il nuovo salone del potere (e del lusso)

L’ultimo Salone dell’auto di Shanghai è stato illuminante. Mentre in Europa si chiudono gli stabilimenti, in Cina si accendono palchi scintillanti con SUV elettrici, supercar a guida autonoma, concept futuristici. Marchi locali come BYD, NIO e Zeekr dominano la scena. E perfino i brand europei – Audi, BMW, persino Maserati – ormai presentano lì le anteprime mondiali.

Shanghai non è più solo un salone: è il nuovo centro di gravità dell’automotive globale.

E noi? Presenti con qualche fornitura, qualche tecnologia embedded, qualche ingegnere in trasferta. Il design italiano resiste, certo. Ma il sistema Paese dov’è?

In Germania non si fanno più auto, si costruiscono carri armati

 

Mentre la Cina si prende l’auto, la Germania cambia completamente paradigma. Basta con l’auto come unico pilastro industriale. Berlino ha spostato il baricentro: dal made in Germany su quattro ruote alla nuova potenza industrial-militare.

Con oltre 100 miliardi di euro investiti nella Bundeswehr, la Germania ha riattivato fabbriche, ricollocato ingegneri, riconvertito linee produttive. Carri armati Leopard, sistemi missilistici, radar, droni: è questa la nuova industria tedesca.

Non è una fuga: è strategia. E Berlino la chiama “resilienza industriale”.

In Italia, intanto, chiudono fabbriche e si inventano bonus

E in Italia? Si assiste, come sempre. Il governo lancia bonus auto temporanei, proclami sul futuro elettrico, progetti spot su Gigafactory e ricerca, senza mai un vero piano industriale. Si salvano singole eccellenze, ma manca la visione complessiva.

La verità è amara: Stellantis ha ridimensionato il ruolo dell’Italia nella produzione, le grandi filiere del motore endotermico sono in crisi, e il ricambio elettrico non basta.
Non produciamo piattaforme, non abbiamo batterie nostre, non progettiamo semiconduttori. In poche parole: l’Italia è fuori dalla catena del valore strategico dell’auto del futuro.

La Cina avanza, l’Italia balbetta

La Cina non solo detta le regole del nuovo automotive, ma punta anche a comprarselo. A suon di capitali e know-how. Sta entrando nei mercati europei con modelli competitivi e impianti chiavi in mano.

Le istituzioni italiane? Reagiscono con lentezza. Non esiste una strategia per difendere le imprese, attirare investimenti realmente produttivi o creare un ecosistema italiano dell’auto elettrica. Ogni regione fa da sé. Ogni governo guarda altrove.

Nel frattempo, i migliori fornitori italiani si alleano direttamente con i player cinesi. E non perché siano traditori: semplicemente, è lì che c’è visione. E budget.

Il paradosso europeo

Così, nell’Europa che cambia, ci sono tre velocità:
– La Cina detta la direzione,
– la Germania costruisce alternative strategiche,
– l’Italia guarda e spera.

Siamo rimasti a difendere il passato, mentre gli altri scrivono il futuro. Pensiamo ancora che basti vendere design e cablaggi per restare nella partita. Ma la partita è cambiata, e noi siamo finiti in panchina.

Svegliarsi o sparire

Il rischio non è più solo perdere pezzi di industria. Il rischio è che tra pochi anni l’Italia non abbia più un vero settore automotive. E non perché manchino capacità, ma perché mancano idee e coraggio.

La Cina costruisce auto intelligenti. La Germania costruisce sistemi di difesa. E l’Italia? Resta a guardare, aggrappata alle glorie passate. Ma la storia industriale non premia i nostalgici. Premia chi agisce. E il tempo per farlo sta finendo.