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Politica
Astensionismo, ai partiti lezione che non servirà. Verso il presidenzialismo

Fra una settimana i ballottaggi, anche quelli di Roma e di Torino, confermeranno, accentuandola, la crisi di partecipazione al voto degli italiani già vista al primo turno delle recenti amministrative. Ancora una volta i partiti, tutti, e chi in tv e sui giornali dà loro fiato, faranno finta di niente, per nulla preoccupati di analizzare le motivazioni politiche di un astensionismo record che vede a Milano il sindaco Sala eletto con il 60% di circa il 48% dei votanti, cioè quasi un misero 20% degli aventi diritto al voto e vede il segretario del PD Letta vincere le suppletive a Siena sfiorando il 50% dei consensi su una affluenza alle urne del 35,9% che parla da solo. Dunque, anche queste elezioni non pare siano servite da lezione ai partiti che tirano avanti come nulla fosse accaduto dichiarandosi ognuno, a suo modo, vincitori.

L’unico vincitore di queste elezioni è l’astensionismo, frutto non del voto amministrativo considerato “secondario” ma espressione di una scelta di tanti italiani sfiduciati per dare un segnale politico ai partiti e alle istituzioni che così non va, che è ora di cambiare, che nemmeno la “mano santa” di Draghi può rimettere in piedi e rilanciare l’Italia pur con i successi sulla pandemia e l’acquisizione del Recovery Fund, il piano per la ripresa su cui i partiti intendono metter mano nella logica spartitoria, per mantenere le “corti” e guadagnare consenso. Nell’immediato del dopo voto di queste amministrative la “festa” di Letta per il risultato del Pd pare proprio fuori luogo, specie vedendo la deriva dei 5Stelle e di una “terra bruciata” attorno al Partito Democratico, senza più alleati elettoralmente consistenti, situazione che potrebbe sfociare in una debacle del pidì e del cosiddetto centro-sinistra alle prossime politiche.

Idem, o peggio, nel campo opposto, dove Salvini ha dimostrato il proprio smarrimento rispetto al voto e la propria inconsistenza politica (tattica e strategica) mettendo in piedi a urne ancora calde, con lo styling di un cabarettista sfiancato, la scenetta sulle tasse per poi accucciarsi al richiamo del premier, con la coda fra le gambe. Al Paese serve altro. Il racconto di una Italia fuori dalla tempesta è fuorviante quanto falso. Caso mai sono i partiti, tutti, a essere fuori dalla realtà. Tre, fra tanti, i segnali che dimostrano quanto il Paese sia tutt’ora in mezzo al guado: il numero delle famiglie in povertà (nel 2020 oltre 2 milioni le famiglie in povertà assoluta, solo nel 2019 sono cresciute di 335 mila; secondo l’Istat nel 2020 si aggiungono ai poveri assoluti oltre un milione di persone); il numero più basso in Europa di laureati e diplomati; il crollo inarrestabile della natività con il record del 2020 in cui i nuovi nati (nel 2019 404.104 nati e 746.146 deceduti) ammonteranno a quasi la metà dei morti con la prospettiva che, così, nel prossimo decennio le nascite si fermeranno costantemente sotto le 400 mila, la metà di quanto avveniva nel 1862, primo anno dell’Italia unita.

Sono dati, fra tanti altri negativi, che dimostrano la curva discendente dell’Italia in stato di “emergenza nazionale”, un paese che ha bisogno di una cura da “cavallo”, non di sermoni e di rinvii e contrapposizioni paralizzanti  fra partiti di cartapesta, in un parlamento assente e di parlamentari tesi solo a mantenere il proprio scranno, espressione di rapporti di forza politici oggi totalmente diversi. Lo stesso Draghi non può limitarsi al dato della crescita del Pil (+10% circa in questi due anni), di fatto tornando al 2019, sempre anno di crisi pesante. “Poco, meglio di niente”, diceva Lenin dopo i primi timidi successi nell’economia russa post rivoluzione. Tradotto nell’Italia di oggi vuol dire: meglio Draghi che tiene “a galla” il Paese, altrimenti a picco se lasciato in mano a questi partiti e a queste leadership. Non è questa, al di là di come si andrà al ricambio al Colle, la via che conduce a una Repubblica presidenziale? Democratica, ovvio, ma non certo quella repubblica democratica parlamentare pensata e messa in piedi dai padri costituenti che, pur fra demagogia e contrapposizioni ideologiche, aveva creato, con tutti gli italiani ai remi, il Belpaese.      

 

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