Politica
Conte non molla, il governo tiene. E Mattarella...

Conte non molla. Dal Colle il refrain non cambia: se il governo cade si va alle urne
Di Massimo Falcioni
In una situazione mai così critica dal dopoguerra per la pandemia e per i suoi effetti economici e sociali il governo Conte si barcamena ma tiene, barcolla ma non molla, come un pugile sul ring che incassa duri colpi ma non va ko. Tiene grazie al buon senso e alla capacità di mediazione e di sopportazione del premier e perché non ci sono alternative a questo governo che però vive alla giornata, fra tensioni e divisioni. Così, Conte si limita a fare la guardia del Palazzo, ridotto a un bidone di benzina vuoto. Non c’è spazio per facili ottimismi. Se sul fronte sanitario calano contagi e morti e c’è il boom di guariti per un Coronavirus meno invasivo ma non debellato, sul fronte economico crollano gli ordini e si consuma la liquidità per le aziende. Data la dimensione globale della crisi, rischiano anche le imprese italiane esportatrici, con danni per l’occupazione e per il PIL e quindi per uno Stato oltremodo indebitato.
Dalla recessione al fallimento il passo è breve. Questo è quel che temono – per non dire prevedono – gli imprenditori e le loro organizzazioni, le banche d’affari e i centri dell’economia internazionale, pronti a mangiarsi l’Italia in un sol boccone. Questo è quel che invece non vede o non vuol vedere il Governo. Se in politica contano i fatti il fatto politico è che il governo non ha né un progetto nè la squadra per affrontare la situazione. Dopo tre mesi di emergenza gli italiani sono assai provati, non convinti di essere fuori dalla pandemia e dai suoi effetti dirompenti. Di più, il malcontento dei cittadini si estende e monta la rabbia di chi sa di non poter ripartire. E’ a rischio la tenuta sociale perché chi teme di non farcela – tutta la galassia del ceto medio: artigiani, commercianti, piccoli imprenditori e le aree non protette: lavoratori precari, giovani disoccupati, pensionati con la “minima” – diventa facile preda dei seminatori del “tanto peggio tanto meglio”. Il sofferto “decreto rilancio” del 13 maggio contiene misure-tampone, anche utili, ma fuori da un progetto politico-economico di ricostruzione e di svolta, privo di un piano di sviluppo per le infrastrutture, la burocrazia, l’industria, l’edilizia, l’agricoltura, il turismo, la sanità, la scuola ridefinendo nuove priorità e nuove scelte strategiche dopo la lezione della pandemia. Nel governo mancano le condizioni politiche per una svolta, pesano divisioni nella maggioranza e all’interno dei singoli partiti, specie nel M5S, in crisi di identità e di leadership, sempre pronti ad alzare polveroni su tutto per distinguersi cercando i consensi perduti, ma non spezzando la corda, temendo la crisi di governo e lo sbocco delle elezioni anticipate.
Se il Coronavirus torna a colpire con una seconda ondata e se il crollo del Pil supera presto la doppia cifra il Paese rischia di affondare. Non si tratta di catastrofismo ma di realismo. Il governo deve fare chiarezza al proprio interno, verificare la propria base politica con una piattaforma unitaria da presentare, discutere e mettere ai voti in Parlamento. Un progetto politico, scelte che cambiano l’economia e la vita di tutti i giorni, che danno ad alcuni e tolgono ad altri, non un insieme di norme, spesso pasticciate e contraddittorie, affidate ai burocrati. Su questo Conte deve metterci la faccia obbligando tutti, a cominciare dai suoi ministri e dai partiti della sua maggioranza, a gettare la maschera. Gli italiani devono conoscere la verità, chi vuole che cosa. Il fatto che non esistano in Parlamento le alternative a questo governo e che con la pandemia in agguato non si può disturbare il manovratore, non può costituire un alibi né per il premier né per la maggioranza giallorossa. Così, Conte non può farcela, non può durare perché il logoramento produce solo stallo. Dal Colle il refrain non cambia: se Conte cade si va alle urne. Una minaccia o un auspicio? Il resto viene dopo. Come l’intendenza.