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Politica
Dal M5S alla Lega? Sì, ma non ora. Rumor e trappole, trema il governo

Cinque. Sette. Dieci. Sono settimane che si susseguono le voci, i rumor e le indiscrezioni di imminenti passaggi di senatori del Movimento 5 Stelle alla Lega. L'ultimo in ordine di tempo a guardare al Carroccio con sempre maggiore interesse sarebbe il napoletano Ugo Grassi, senza dimenticare l'ex direttore de La Padania Gianluigi Paragone molto critico con i vertici dei pentastellati (Beppe Grillo incluso). Al momento, però, dalla Lega garantiscono al 100% che nei prossimi giorni e probabilmente almeno fino alla fine dell'anno non sono previsti ingressi dal gruppo 5 Stelle. Anche dal partito di Matteo Salvini confermano che ci sono stati avvicinamenti di senatori e deputati grillini per chiedere informazioni e per conoscere le posizioni leghiste su vari temi, in particolare sul Mes (riforma del Fondo Salva-Stati) alla luce della furiosa lite tra il premier e l'ex ministro dell'Interno.

L'impressione forte è che fino all'approvazione definitiva della Legge di Bilancio, prevista tra Natale e Capodanno, nulla accada anche perché nessuno vuole assumersi la responsabilità di mettere a rischio la manovra con la conseguenza di far scattare l'aumento dell'Iva dal primo gennaio. Che nel M5S la situazione sia complessa e delicata non è una notizia e nemmeno l'incontro Di Maio-Grillo ha spento le polemiche. Accanto alla maggioranza di parlamentari (intorno al 75-80%) che vuole proseguire l'esperienza di governo con il Partito Democratico sicuramente c'è una pattuglia di 10-12 senatori e una ventina di deputati circa che rimpiange il Carroccio e che potenzialmente potrebbe bussare alla porta di Via Bellerio.

Ma prima di farlo - spiegano fonti qualificate - serve la certezza che la legislatura stia terminando e che si corra dritti alle elezioni (ovviamente con la speranza di essere ricandidati con la Lega). Considerando la paura del voto di M5S e Italia Viva (Renzi ripete quasi quotidianamente che la legislatura deve proseguire fino al 2023 eleggendo il prossimo presidente della Repubblica) eventuali terremoti per il governo possono arrivare solo dal Pd.

A Bologna Nicola Zingaretti ha assicurato di non pensare alle urne, ma tra i Dem crescono timori e insofferenza soprattutto per i 5 Stelle divisi e con Di Maio di fatto commissariato da Grillo. Il capodelegazione del Pd al governo, il ministro Dario Franceschini, lo ha detto in modo chiaro risponendo a Di Maio e Grillo: "Lasciamo perdere i contratti che per natura sono accordi tra controparti, garantiti da un notaio. Non abbiamo bisogno delle firme, ma di un’intesa politica". E se l’ala dem più governista punta comunque ad andare avanti, c’è chi, come il vicesegretario Andrea Orlando, continua a ‘seminare’ avvisi per gli alleati: "La condizione più pericolosa per la tenuta del governo è l’attuale, di separati in casa".

D'altronde - sottolineano fonti del Nazareno - i temi divisivi non mancano, anzi abbondano: la riforma della giustizia e le sorti della prescrizione con il ministro degli Esteri che ha invitato a "non fare come Salvini", lo ius soli e lo ius culturae rilanciati fortemente da Zingaretti e LeU ma bocciati (almeno per ora) da Di Maio e perfino da Maria Elena Boschi, il futuro dell'intesa sul Mes con una parte dei pentastellati che segue il leader leghista e vuole bocciare la riforma del Salva-Stati (in realtà salva banche tedesche con i soldi degli italiani).

Senza dimenticare le infinite polemiche sulla Legge di Bilancio con migliaia e migliaia di emendamenti che possono terremotare la maggioranza (quota 100, carcere per i grandi evasori, limite al contante etc...). C'è poi, all'orizzonte, la sfida elettorale del 26 gennaio. Conte e Di Maio continuano ad affermare che le Regionali in Emilia Romagna e in Calabria non sono un referendum sull'esecutivo, ma nel Pd - finora a microfono spento - usano parole completamente diverse. La speranza, corroborata da un cauto ottimismo, è che alla fine Stefano Bonaccini riesca a prevalere su Lucia Borgonzoni, anche se di poco, ma tra i Dem si parla apertamente di "svolta totale" e di "conseguenze serie sul governo" in caso di sconfitta in Emilia Romagna.

Finora Zingaretti è riuscito a tenere a bada l'ala del Pd più critica verso i 5 Stelle - da Orlando a Gentiloni fino a Orfini - ma un'eventuale vittoria della Borgonzoni farebbe uscire allo scoperto le voci di chi ritiene che governare con Di Maio & C. sia quasi impossibile vista l'assenza di un progetto condiviso per il Paese e le divisioni infinite nel M5S. L'Emilia - spiegano fonti grilline - sarebbe un detonatore, in caso di sconfitta, perché all'impennata delle fibrillazioni tra i parlamentari dem farebbe seguito, probabilmente, la fuga verso la Lega di quella pattuglia di grillini che per il momento rimane sottocoperta. Insomma, per ora - salvo colpi di scena sempre possibili - non sembrano esserci stravolgimenti a livello di gruppi parlamentari ma il rischio è quello della quiete prima della tempesta. Prima il temporale dopo aver portato a casa la manovra, poi la possibile burrasca (forse definitiva) domenica 26 gennaio.

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