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Politica
Dario Franceschini, eterno Dc: al lavoro per "raccattare" i responsabili

Di Pietro Mancini

Dario Franceschini, 62 anni, deputato da 20, sta lavorando per puntellare il governo Conte-bis con i voti dei cosiddetti “responsabili”: ex forzisti, come Romani e Polverini, e renziani, preoccupati per i sinora modesti consensi a “Italia Viva”.

Per il figlio di Giorgio-deputato, negli anni 50, della destra Dc di Mario Scelba- le  figure carismatiche sono Benigno Zaccagnini e don Primo Mazzolari, che Franceschini citò, a Marzabotto, durante la campagna per la corsa alla segreteria del PD. E si ispira alla cautela e alla diplomazia di uno dei “cavalli di razza” della DC, Aldo Moro.

Il parlamentare emiliano, il più caparbio sostenitore dell’alleanza giallo-rossa anti-Salvini, è, dunque, il leader di riferimento per il gruppetto di deputati e senatori di centrodestra, stufi di stare all’opposizione. Costoro hanno individuato nel ministro emiliano, legato a Mattarella e molto  ascoltato dal premier, la risorsa più affidabile per evitare la fine della legislatura.

Dunque, si riaffaccia sulla scena la “Balena bianca”.

 Per uno di quei paradossi, non rari in politica, i grillini- che scesero in campo, urlando slogan contro la infame partitocrazia e le lottizzazioni- sono alleati dell’ultimo esponente di rilievo della tradizione democristiana, sopravvissuta alle tre Repubbliche. E obbediscono al ministro di Ferrara e al suo collega Boccia, ex dalemiano pugliese, che proclama: "Chi lavora per far cadere il governo, fa sciacallaggio politico !”.

La stella di Franceschini, che ha vergato libri non fondamentali, non è mai ascesa nell’empireo dei capi di primo piano. In politica dal 1974, Dario è stato frenato dalle competizioni, perse, con D’Alema e  Veltroni. E poi dalla sfida con Matteo Renzi, che, impietosamente, lo definì il “vice-disastro” dell’allora segretario del PD, Bersani.

Allora, tuttavia, dopo aver sostenuto alle primarie il suo corregionale Pigi, Dario non esitò a salire sul carro del vincitore.

Nessun imbarazzo a passare da Renzi “moccioso, un arrogante, il nipotino prediletto di zio Berlusconi” a Matteo “fratello bianco di Obama, il cugino toscano di Blair, la reincarnazione di Bob Kennedy”. Ironizzò, su Twitter, il giornalista Luca Bottura :

“Effetto Renzi. Franceschini: “Mai stato Franceschini”. E l'ambizioso Matteo commise uno dei suoi primi errori politici, 

 riciclando "rottamandi", in quello che sembrò a molti un partito unico, dove tutti salivano sul carro dell’ex primo cittadino toscano. E, soprattutto, non limitando il potere, nella gestione del partito e dei gruppi parlamentari, dell’ abile ex “vice-disastro”. Che,

essendo nato 17 anni prima di Matteo, ha fatto in tempo, a differenza di Renzi, a votare, più volte, per le liste e il simbolo della Democrazia Cristiana.

Come numerosi politici, provenienti dalla “Balena Bianca”, il ministro dei Beni culturali non è tagliato per le battaglie dall’opposizione. Ma sbaglia chi lo liquida, tout court, come un “poltronista”, senza spinte ideali. Il ministro dei Beni culturali le idee  le ha, ma sono antiche, legate al pauperismo cattocomunista. Era convinto di poter battere Silvio Berlusconi, con questi “ragionamendi”: «Cosa ne sa un miliardario, che viaggia su un aereo privato, da una villa all'altra, delle donne italiane e della loro fatica ? Lui ha in mente un mondo di lustrini, veline e denari, che è una cosa diversa dall'Italia vera”. Correva l’anno 2008 e, purtroppo per il figlio del cattolico tradizionalista Giorgio Franceschini, nostalgico dei compagni della parrocchietta, le elezioni le vinse l’odiato Cavaliere. 11 anni dopo, Dario ha cambiato moglie- la giovane e rampante Michela Di Biase, consigliera regionale nel Lazio- ma gli elettori hanno sfrattato i cattocomunisti dal municipio della amata Ferrara, dopo 70 anni di potere rosso, eleggendo un Sindaco della Lega e facendo piangere il ministro del Conte-bis e il "compagno"Francesco Guccini.

 

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