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Politica
Davigo out. Toghe in pensione? Fuori dal Csm sentenzia il Consiglio di Stato

Un magistrato che va in pensione non può più far parte del Consiglio superiore della magistratura. Lo stabilisce, nero su bianco, la sentenza n° 3182 del Consiglio di Stato del 16 novembre 2011.

L’atto dovrebbe rappresentare una pietra tombale sulla permanenza di Piercamillo Davigo al Csm. Una questione meramente giuridica ma che non sembra sfiorare gli equilibri politici all’interno della magistratura e dei media italiani indirizzati verso la permanenza del magistrato.

Da mesi si è aperta una querelle sulla possibilità che il magistrato Piercamillo Davigo, anche andando in pensione, possa lo stesso restare nel Csm, visto che non sembra intenzionato a lasciare il massimo organo della giustizia. Davigo, presidente della seconda sezione penale della Cassazione e fondatore e leader della corrente Autonomia e Indipendenza andrà in pensione il 20 ottobre prossimo, dopo 42 anni di servizio. Attualmente fa parte della sezione disciplinare che dovrà giudicare sullo scandalo delle correnti nelle toghe che vede imputati, davanti al Csm, Luca Palamara, leader della corrente Unicost e altri magistrati a lui legati. Ma se per giornali come Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio e altre testate di sinistra basta citare l’articolo 104 della Costituzione per sponsorizzare la permanenza di Davigo al Csm (“i membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili”), la sentenza del Consiglio di Stato metterebbe la parola fine al caso. “In altri termini”, c’è scritto nella sentenza “il fatto che il legislatore non abbia espressamente previsto la cessazione dall’ordine giudiziario per quiescenza fra le cause di cessazione della carica di componente del C.S.M dipende non già da una ritenuta irrilevanza del collocamento a riposo, ma dall’essere addirittura scontato che la perdita dello status di magistrato in servizio, comportando il venir meno del presupposto stesso della partecipazione all’autogoverno, è ostativa alla prosecuzione dell’esercizio delle relative funzioni in seno all’organo consiliare”.

La corrente Autonomia e Indipendenza ha assunto un potere non indifferente nel Csm dopo lo scandalo Palamara e le dimissioni dal Csm dei magistrati legati al leader di Unicost. Critico con l’impostazione che vorrebbe la permanenza di Davigo Nello Rossi, direttore di Questione giustizia, rivista online della corrente di sinistra Magistratura democratica ed ex procuratore aggiunto a Roma e avvocato generale in Cassazione : “Si tratta di prendere atto che tra membri togati e membri laici non esiste lo spazio per il tertium genus dell’eletto non più magistrato, metà pensionato e metà consigliere, ormai svincolato dalle regole applicabili ai magistrati in servizio ma investito dei compiti propri del governo autonomo della magistratura”.

E ancora: “Non sono in discussione né il rispetto per la persona di Davigo, per la sua storia professionale ed umana e per il consenso raccolto tra i magistrati, né il dissenso netto, spesso nettissimo, verso molte delle sue posizioni sui temi della giustizia penale e dell’assetto del giudiziario. Nonostante la ferocia dei tempi ci ostiniamo a credere che rispetto personale e dissenso ideale possano e debbano stare insieme. Ma la loro convivenza non può che essere assicurata dall’osservanza dei principi e delle regole propri dell’amministrazione della giurisdizione”

Ha parlato per la prima volta della sentenza del Consiglio di Stato il giornalista Maurizio Tortorella su La Verità, l'8 agosto. Già allora infatti era chiarissimo che il caso Davigo incrociasse lo scandalo Palamara e con la sentenza che verrà emessa dal Csm sul caso. Ma anche su altri, come fa intendere lo stesso Rossi nel suo articolo, visti gli insistenti tentativi di ricusazione di Davigo da parte di Palamara e company. “La giustizia disciplinare può essere esercitata esclusivamente nei confronti dei magistrati in servizio, siano essi esercenti funzioni giudiziarie o collocati temporaneamente fuori ruolo”, scrive il giurista, “il componente del Consiglio superiore ‘pensionato’ si troverebbe in una posizione del tutto anomala ed eccentrica sia rispetto ai consiglieri togati del Consiglio, sia rispetto alla generalità dei magistrati”. Le toghe, se fanno parte del Csm, “incorrono di diritto nella decadenza dalla carica se riportano una sanzione disciplinare più grave dell'ammonimento”. Ma se Davigo va in pensione, come è obbligatorio per legge a 70 anni, non sarà più “processabile” disciplinarmente nel caso gli venissero sollevate contestazioni gravi e nessuno potrà chiedergli in quella sede spiegazione sulle proprie decisioni.

 

 

 

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