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Politica
Elezioni Torino, com'è strano votare in una città in cerca di vocazione

Ti accorgi che si stanno avvicinando le elezioni amministrative a Torino, perchè si asfaltano le buche, si rifanno le strisce sulle strade, si taglia l'erba nei controviali e spuntano immancabilmente i faccioni ammiccanti dei candidati sui cartelloni pubblicitari. Non succede solo a Torino, per carità, ma qui un certo tempismo si scontra con la rigida diffidenza sabauda.

Un'altra solida certezza è che le elezioni d'autunno sotto la Mole si stanno vivendo con un incomprensibile distacco. La sindaca Appendino ha fatto un garbato passo indietro, mentre gli ultimi sondaggi danno il centrodestra leggermente avanti, rispetto al centrosinistra, la Lega in calo e, per contro, Fratelli d'Italia in vigorosa ascesa. Gli analisti del pallottoliere sostengono che il binomio PD-M5S vincerebbe a mani basse al primo turno. Del resto non tutti sono proprio convinti che l'opinione dei torinesi su Appendino sia veramente così negativa, come una certa narrazione vorrebbe far intendere. Una tesi avvalorata anche dalla consapevolezza bipartisan che oggi Torino non sia propriamente una terra di giganti.

La stessa viceministra all'Economia Laura Castelli, in un'intervista al quotidiano La Stampa, ha esortato a guardare avanti con un certo piglio marketing, perchè "bisogna allearsi e lavorare insieme" e "allargare l’offerta" con l'obiettivo di scongiurare il rischio di consegnare la città alle destre. Non è certo l'unica a pensarla così. Ora bisogna trovare una quadra sui candidati che nella geometria della politica non è mai così semplice.

Al posto dell'Appendino, i Cinquestelle hanno puntato sull'assessore uscente Alberto Unia. Dopo il ritiro del candidato Salizzoni, il Partito Democratico sembra giochicchiare intorno a Stefano Lo Russo, numero uno del PD a Palazzo Civico, magari saltando le primarie. Sicuramente non aiuta la distrazione dei vertici nazionali su questa partita che sta assumendo i contorni sempre più inquietanti dell'ennesimo errore madornale. Come diceva l'avvocato Juanin Agnelli, detto "Lamiera": quello che è male per Torino è sempre male per l'Italia.

Sul fronte opposto quel simpatico becchino di Antonio Tajani, come lo battezzò qualche tempo fa Elisabetta Gardini,  si è presentato in una popolare trasmissione del pomeriggio Rai per scaricare Claudia Porchietto e benedire come candidato sindaco il più civico Paolo Damilano, molto gradito alla Lega.

Nelle ultime ore anche Davide Betti Balducci, Presidente Nazionale Diritti e Libertà per l'Italia, già collaboratore dell'ex Assessore ai diritti civili della Regione Piemonte, Roberto Rosso, ha lanciato la sua candidatura a sindaco di Torino con il Partito Gay per i diritti Lgbt+, Solidale, Ambientalista e Liberale. Educato ai valori cristiani, entra in Forza Italia ancora minorenne e ora si candida nel solco della tradizione che vide 50 anni fa nascere, proprio a Torino, il F.U.O.R.I. (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), primo movimento per i diritti LGBT+ della storia. Veramente tanta roba. 

Per una città che sta cercando da decenni di ricostruirsi una vocazione, non poteva mancare anche la candidatura di Massimo Giuntoli, presidente dimissionario dell'ordine degli architetti di Torino. È partito subito con il giusto approccio da carpentiere costruttivo, confermando la sua disponibilità a correre in una coalizione civica allargata al Pd, al M5S e a tutta la sinistra. Tutto questo solo a patto, però, che non si candidi il rettore del Politecnico Guido Saracco. Una discriminante che non è figlia della polemica, ma solo del rapporto di stima e amicizia che li lega. Evviva.

Comunque vada, il sindaco che verrà si porterà il peso del rinascimento di Torino che, dalle Olimpiadi del 2006 in avanti, è stato finanziato a debito. Quattro miliardi per la precisione. Il suo pagamento è la seconda voce dopo i costi di personale, come ha tuitterato la stessa Appendino. Mai come in questo caso, si addice al futuro sindaco il famoso detto, ogni promessa è debito.

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