Politica
Riforma della giustizia, parte la campagna referendaria: la Sinistra strumentalizza le (false) interviste di Falcone e Borsellino contro Nordio
Sulle false affermazioni dei due giudici antimafia si sarebbe costruita una falsa narrazione sull'impatto della riforma Nordio

Riforma della giustizia e l'inizio di una (lunga) campagna referendaria. Analisi
Siamo appena agli inizi di una campagna referendaria sulla riforma della giustizia che si annuncia dura e senza esclusione di colpi tra chi è favorevole e chi invece è contrario alla legge. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, c’è proprio poco da stare allegri. Da giorni i dibattiti sulle televisioni e sui giornali si susseguono per perorare le cause del no alla riforma e quelle del sì.
Ma quello che ha scoperto il giornale Il Dubbio forse travalica il senso della decenza, dal momento che vengono strumentalmente utilizzate false interviste di due mostri sacri della magistratura italiana, come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. "Dopo un recente articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano, sui social è tornata a circolare un’immagine di Giovanni Falcone con una citazione in cui gli si attribuisce un monito contro la separazione delle carriere: “Una separazione delle carriere può andar bene se resta garantita l'autonomia e l'indipendenza del pubblico ministero. Ma temo che si voglia, attraverso questa separazione, subordinare la magistratura inquirente all'esecutivo. Questo è inaccettabile”. La frase sarebbe stata pronunciata in un'intervista a Repubblica del 25 gennaio 1992. C'è un solo problema: quella intervista non esiste.
Così sostiene il giornale il Dubbio che ha smascherato una fake news usata da molti giornali di sinistra, come il Domani e alcune trasmissioni sempre piuttosto schierate come "Piazzapulita" di Corrado Formigli. Sempre il Dubbio ribadisce come negli archivi storici di Repubblica non esiste traccia di questa affermazione di Giovanni Falcone sulla separazione. Anzi chi conosce il magistrato antimafia, barbaramente ucciso nel 1992 da un attentato della mafia, sa bene che il suo giudizio era favorevole alla separazione delle carriere.
Ma i media di sinistra non avrebbero scomodato solo la memoria di un eroe dell’antimafia come Falcone, ma avrebbero anche distorto il pensiero del suo sodale Paolo Borsellino, trucidato anche lui dalla mafia nel luglio del 1992. Alcuni media, infatti, avrebbero sostenuto che il giudice sarebbe stato ospite della trasmissione Samarcanda di Michele Santoro il 23 maggio 1991 e avrebbe detto questa frase: "Separare le carriere significa spezzare l'unità della magistratura. Il magistrato requirente deve poter svolgere la sua funzione senza dover rendere conto al potere politico”. Dopo aver fatto alcune verifiche nelle teche Rai, l'archivio storico dell'azienda, sempre il Dubbio ha scoperto come in realtà Borsellino quel giorno non fosse tra gli ospiti di Samarcanda. Anzi per dire la verità fino in fondo, il magistrato non partecipò mai a quella trasmissione.
Eppure, sulle false affermazioni dei due giudici antimafia si sarebbe costruita una falsa narrazione sull'impatto della riforma Nordio. Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, diventato il frontman del No alla riforma Nordio, su la7, l’aveva letta pubblicamente, lo stesso è avvenuto durante la trasmissione di Corrado Formigli Piazzapulita.
Esistono invece interviste reali che permettono di comprendere il pensiero di Falcone sulla separazione delle carriere, che è di tutt’altra portata rispetto alle false parole attribuite al magistrato. Il 26 settembre 1990, Falcone aveva detto a Repubblica: “Di per sé non mi scandalizzerebbe un PM dipendente dall'esecutivo”, pur precisando che “nell'attuale momento storico, l'indipendenza del PM vada salvaguardata e protetta. Ma l'indipendenza non è un privilegio di casta”. Nel 1988, appena varato il nuovo codice, Falcone aveva dichiarato in un convegno: “In un codice che accentua vistosamente le caratteristiche di parte del PM, è impossibile pensare che le carriere dei magistrati del pubblico ministero e quelle dei giudici potranno rimanere ancora a lungo indifferenziate".
Quello che si vuole passare sulla riforma e che sarebbe rafforzato dalle celebri parole di Borsellino (quelle sì pronunciate per davvero) secondo cui nel 1990, in un periodo in cui lo strapotere di pochi partiti non permetteva l'alternanza al potere, l'indipendenza del PM costituiva una garanzia essenziale contro il rischio che la giustizia potesse essere piegata agli interessi di una fazione politica. Ma i sostenitori del no e chi contesta l’operato del governo, cita anche un’altra presunta frase, totalmente decontestualizzata dal testo generale, che Borsellino avrebbe scritto in una lettera privata, in cui definiva la separazione delle carriere come “un cavallo di Troia per disarticolare la forza unitaria dell’azione giudiziaria”.
Ma in quella lettera, il magistrato siciliano, in realtà contestava il nuovo impianto del Codice penale Vassalli del 1988, che a suo dire aveva delle evidenti storture concrete che il sistema processuale aveva generato, storture che lo stesso potere politico ha poi dovuto correggere. In primis, il problema della gestione dei pentiti. La critica era rivolta ad alcuni suoi colleghi che avrebbero sfruttato le difficoltà del nuovo codice come alibi per non incidere davvero con le indagini. In un celebre faccia a faccia tra Borsellino e l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli, tenutosi il 5 luglio 1991 a Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia, si evince come la frase sulla separazione delle carriere non era nel suo stile, non corrisponde al suo modo di ragionare.
Anzi in realtà lui non era contrario per principio, addirittura al controllo dell’esecutivo sul PM (cosa che avviene in molti paesi europei, Spagna in primis del socialista Pedro Sanchez) ma solo che i tempi non erano maturi nell’Italia degli inizi degli anni 90. Insomma, un ribaltamento della realtà che non offre certo un quadro troppo edificante sulla legittima discussione sulle ragioni di una riforma, che è attesa da decenni e che dovrebbe limitarsi a restare nel perimetro della normale dialettica politica, senza scomodare a sproposito chi non può, per ovvie ragioni, smentire o confermare le affermazioni rese.
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