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Politica
Governo, il 52% degli italiani non crede al Conte bis

La maledizione di Massimo D’Alema sul Partito democratico “un amalgama mal riuscito” può tornare d’attualità adattata alla nuova alleanza di governo M5S-Pd sorta da una “trovata” del mai domo Renzi per un accordo di emergenza fra i due partiti poi rilanciata e sviluppata dal recalcitrante Zingaretti per “un governo di legislatura” ma di fatto realizzata per evitare le temute elezioni anticipate e porre l’alt a Salvini e al suo populismo considerati anche dall’establishment europeo il male d’Italia. Così, per l’errore politico frutto dal mix di ingenuità e arroganza del leader leghista, il blocco tra le due forze del populismo e dell’antipolitica già in erosione perché la Lega stava mangiando elettoralmente i 5Stelle, è saltato, avviando con il Conte bis una fase politica nuova.

Sulla inedita alleanza fra due partiti da sempre nemici e l’un contro l’altro armati - il Pd, già ex Pci-Pds-Ds poi fuso con la Margherita sinistra Dc - baluardo del sistema-partiti e dell’élite vero partito-Stato e agli antipodi il M5S - nato nel 2009 dopo il “Vaffanculo day del 2007” dalla spinta del comico Grillo e dall’imprenditore del web Casaleggio, movimento euroscettico portabandiera dell’antipolitica e della democrazia diretta, pesa l’ombra di una alleanza esclusivamente di potere ideata e realizzata nel Palazzo sul binario del peggior trasformismo e camaleontismo italico. La minaccia della “Destra” fagocitata dal “razzista” e “fascista” Salvini cui era dal sen fuggita la frase mussoliniana “Datemi i pieni poteri”e lo “stato di emergenza democratica antifascista” sono state il leitmotiv del Pd per tentare di non soccombere dopo le ripetute bocciature elettorali al centro come in periferia: l’unica possibile via d’uscita era quella di  costruirsi il “nemico” per tenere unita la sua base demotivata e per frenare l’emorragia elettorale. Si capirà presto se il collante dell’accordo di governo regge sotto il peso delle contraddizioni e delle incompatibilità politiche e delle turbolenze interne nei due partiti o se, alla prova dei fatti, salterà per “incompatibilità”. Adesso, perché la nuova alleanza produca riforme, serve la sintesi politico-programmatica.

E’ Conte, l’uomo della sintesi fra M5S-Pd-Leu e addirittura il federatore capace di fra maturare e  aggregare una nuova alleanza Pd-M5S- Renzi e nuove forze riformiste (neo centriste?) come già fu il Prodi anti Berlusconi? Un’impresa né facile nè scontata dato un programma di governo libro dei sogni di dubbia fattibilità e un quadro politico tutt’altro che consolidato. Presto, in un Paese da vent’anni a crescita zero diviso e sfiduciato come non mai, i nodi verranno al pettine, a cominciare dalla finanziaria e dai possibili contraccolpi delle prossime regionali dove calare dall’alto lo schema dell’alleanza nazionale potrebbe sfociare in un un boomerang e mandare tutto a carte quarantotto. Le permanenti turbolenze interne ai due partiti, specie nel Pd, con la temuta o auspicata scissione renziana, potrebbero anticipare il patatrac. Di contro, c’è il collante del potere e qui la scadenza della primavera del 2022 diventa il crocevia decisivo con l’elezione del presidente della Repubblica, da anni “dominus” della politica italiana. Il Pd, ispirato e sostenuto dall’establishment del potere istituzionale ed economico-finanziario nazionale ed internazionale, non può e non vuole lasciarsi sfuggire questa occasione.

E’ stata questa una delle motivazioni, forse la motivazione number one, dell’accordo di governo fra 5Stelle e Pd e del salto della quaglia di Conte capace di rendersi subito disponibile per mettersi alla testa – senza neppure una fase di decantazione – di un esecutivo di segno opposto e “in guerra” con quel governo gialloverde da lui poco prima diretto per oltre un anno e di cui ne aveva ripetutamente vantato i risultati conseguiti. Dopo i ministri scelti con il manuale Cencelli, la corsa e la rissa dei deputati e dei senatori per accaparrarsi lo scranno di sottosegretario sono state la cartina del tornasole di un M5S e di un Pd che cambiano il pelo ma non il vizio con scelte dettate da logiche spartitorie correntizie e di potere interno. Uno scempio, di fronte al quale il premier Conte non ha battuto un colpo. Il governo, con la fiducia, ha superato la prima prova nei due rami del parlamento. Il campo, specie al Senato, resta comunque minato. Al nuovo governo manca la spinta di un Paese tutt’ora scettico, con spinte contrapposte fra disimpegno e spinte sconsiderate. Salvini è un populista, non un fascista: nel precedente governo ha dato risposte, spesso sbagliate, a domande vere su problemi reali che, come quello dell’immigrazione e della sicurezza sarebbe esiziale sottovalutare, o peggio, tornare ad affrontarlo come i precedenti governi a trazione Pd lasciando campo aperto al ritorno incontrollato dei barconi.  

Così, nel Paese diviso e in mezzo al guado, torna a soffiare forte il vento dell’astensionismo capace di spegnere sul nascere la ripresa politica ed elettorale del Pd e del M5S e di rendere debole e inefficace il governo, con il rischio del ko. Intanto la Lega risale nei sondaggi (Emg-Aqua) al 33,3% con il M5S sotto il 20% e soprattutto con il 52% degli italiani che non crede nel Conte bis. Salvini e il centrodestra sono fuori dal governo ma sono nel Paese: minoranza nel Palazzo, maggioranza fra gli italiani. Un monito o una speranza? Occhio, perché per i 5S e il Pd il fallimento del Conte bis può portare al harakiri. 

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