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Palazzi & potere
Voto referendario: ecco perchè in Veneto più votanti che in Lombardia
Referendum Lombardia

Il quesito referendario era istituzionalmente irrilevante anche se ha assunto un importante significato politico. Analizzando bene la formulazione della chiamata alle urne, essa si connotava come un vero e proprio boomerang per gli organizzatori. Infatti essi chiedevano, adesso, cioè domenica scorsa, agli elettori, se erano d'accordo sulla opportunità di intraprendere una iniziativa di stimolo nei confronti del governo centrale per ottenere le nuove o più ampie competenze previste dal Titolo Quinto della Costituzione che fu votato da un governo di centrosinistra nel 2001, cioè 16 anni fa.

In altre parole, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, i governi regionali della Lombardia e del Veneto, che avevano avuto da 16 anni la possibilità di premere sul governo per ottenere i nuovi compiti (con le relative risorse per poterli assolvere) avevano, in pratica, lasciato passare un'intera generazione per cercare di ottenere quello che avrebbero potuto strappare molto tempo fa, senza nemmeno essere spinti da un referendum. Infatti il quesito votato dai chiamati alle urne che hanno partecipato domenica scorsa al voto in Lombardia (il quesito del Veneto è un po' diverso nella formulazione ma identico nella sostanza) diceva: «Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell'unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all'articolo richiamato?».

In questo quesito non c'è alcun strappo imbarazzante (infatti la richieste saranno formulate, dice testualmente il quesito, «nel quadro dell'unità nazionale») e il quesito si rifà esplicitamente all'art. 116 della Costituzione, quindi esso opera nel pieno della correttezza legislativa e costituzionale. Il significato politico di questa consultazione, a lungo sottovalutato, è invece molto rilevante. Il Pd, ad esempio, dimostrando di non capire che cosa sta succedendo in Veneto e in Lombardia, si è voluto tirare fuori dal dibattito. Il segretario del partito, Matteo Renzi, per non lasciarsi nemmeno sfiorare da questa vicenda, pur essendo in giro per l'Italia nel suo tour propagandistico in treno nel quale ha sostato anche in località del tutto irrilevanti, ha evitato accuratamente di girare in Veneto che, in base a tutti i criteri, non si può certo interpretare come una regione irrilevante.

Ma il Pd ha fatto di peggio: visto che molto esponenti locali (con in testa il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che non è certo un leader di periferia, visto che sarà anche il candidato pd alla carica di governatore della Lombardia nelle prossime e imminenti elezioni regionali) visto, dicevo che molti suoi esponenti locali volevano votare sì al referendum, pur non impedendo loro di fare questa scelta, Renzi li ha in sostanza contrastati facendo scendere il campo il ministro dell'agricoltura, Maurizio Martina che, a nome del partito centrale, sosteneva l'opportunità dell'astensione. In tal modo il Pd ha dimostrato di essere un partito asino di Buridano che non sa scegliere nemmeno fra questa alternativa.

Un altro elemento rilevante di questo referendum è stato che il Veneto ha portato alle urne il 60% dei votanti con il 90% dei sì. Siccome il Veneto, perché il referendum fosse valido, aveva posto la barra di almeno 50% di votanti (cosa non prevista per la Lombardia) l'esito in Veneto si è connotato come un trionfo pieno del governatore Luca Zaia che, di fatto, cresce in forza politica pur avendo detto che non la vuole spendere a livello nazionale ma la vuole utilizzare per rafforzare la Regione Veneto che già presiede.

Un aspetto da non trascurare, sempre sul piano politico, continua Magnaschi, è il fatto che tra la Lombardia e il Veneto ci sia stata una colossale differenza, a danno della Lombardia, sulla percentuale dei votanti: 60% in Veneto e solo 40% in Lombardia. Il divario, in effetti, è clamoroso. Ma sarebbe inopportuno attribuirlo solo alla minore leadership di Maroni rispetto al supposta maggior caratura di Zaia. Chi fa questa analisi ha l'occhio fissato sulle contingenze del momento e non tiene invece conto né della storia, né della geografia. Il Veneto ha sicuramente un senso di appartenenza più spiccato che non la Lombardia anche perché ha una storia che lo unifica di più. Non a caso è diventato in ritardo una componente regionale dello Stato italiano. Inoltre, per sottolineare queste sue robuste radici locali, in Veneto è ancora molto diffusa la parlata locale che è facilmente intellegibile da tutti in tutte le sue province, mentre in Lombardia, a parte il fatto che i dialetti sono scomparsi, specie a Milano, un bergamasco non capisce un lodigiano quando essi parlano il loro dialetto, e viceversa. Non solo. Il Veneto si incunea fra due regioni a statuto speciale e quindi ha modo di accertare gli indebiti vantaggi assicurati ai cittadini che non hanno nemmeno (come nel caso del Nord-Sud).

Questi sono fatti oggettivi. Ma è precipitoso desumerne che, a causa di questi fatti, la Lombardia si senta più italiana del Veneto. Da un'analisi più approfondita infatti salta fuori, in modo più evidente, che la Lombardia si pone sempre meno questo tema. La Milano di oggi infatti è sempre più proiettata in Europa e nel mondo. Il grande traforo ferroviario del Gottardo ne stata semplificando i suoi rapporti con il Centro Europa e, in particolare, con la Baviera che è la regione trainante della Germania. Nelle università milanesi arrivano sempre più studenti e docenti di tutte le nazioni. Corsi sempre più numerosi sono impartiti in lingua inglese proprio per mettersi al servizio di comunità composte da persone di molte nazionalità.

La domanda prevalente della Lombardia non è l'autonomia in quanto tale, conclude Magnaschi. Ma l'autonomia per poter fare meglio di quanto lo Stato burocratico non riesce a fare. La Lombardia è strozzata dalle tasse (anche perché in questa regione si pagano massicciamente e non perché i lombardi siano più virtuosi di altri ma perché, essendo obbligata a farlo da contabilità verificate da organismi occhiuti; basti pensare ai vincoli delle società quotate) ed è strozzata anche dalla burocrazia. La Lombardia vorrebbe che le tasse fossero ridotte, non per sottrarle alle regioni più povere ma allo stato burocratico e dissennato. L'autonomia chiesta dalla Lombardia non è quindi sentimentale ma funzionale. Non ama lo Stato centrale perché questo Stato non funziona. Ma se funzionasse, non avrebbe nessuna difficoltà ad accettarlo. Il suo autonomismo quindi è, nei fatti, più pericoloso di quello Veneto. Perché lo Stato che gli sta davanti non si è sinora dimostrato in grado di fare meglio ciò che sinora ha fatto molto peggio.

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