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Politica
Pd, futuro legato alle riforme. Se Renzi perde, Boschi in campo
Primarie PD: è festa per Renzi ma a Roma calano gli elettori


Il congresso del Partito Democratico, invocato dalla minoranza dem, è strettamente legato al risultato del referendum costituzionale del prossimo ottobre. Matteo Renzi ha legato a doppio filo la sua vita politica dall'esito della consultazione sulle riforme istituzionali. Se dovesse vincere il premier, lui ostente sicurezza in pubblico e qualche ansia in privato, a quel punto è probabile che la legislatura vada fino al suo termine naturale, ovvero il 2018. E in questo caso il congresso Pd si terrebbe nell'autunno del 2017 (quattro anni dopo quello del 2013) dopo le primarie, probabilmente a settembre, nelle quali Renzi chiederebbe un plebiscito per ricandidarsi alle elezioni politiche della primavera successiva.

Se invece il referendum sul ddl Boschi dovesse andare male, con una sconfitta del presidente del Consiglio, la situazione precipiterebbe verso le elezioni anticipate all'inizio del prossimo anno. A quel punto - secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it - le primarie verrebbero organizzate in fretta e furia per tenere il congresso prima delle festività di Natale 2016 ed essere pronti per il ritorno alle urne a febbraio-marzo 2017. Se Renzi perde la consultazione popolare, come ha promesso, lascia tutto, sia Palazzo Chigi sia la guida del Pd. Su questo non ci sono dubbi. Ma i renziani potrebbero lanciare Maria Elena Boschi, di fatto la numero due del premier, alla guida del partito e come candidata premier dei Democratici. Ma le varie opposizioni interne non stanno a guardare.

La candidatura lanciata da Enrico Rossi non sembra trovare un grande seguito. A Roma, cioè in Parlamento, il Governatore della Toscana ha pochissimo seguito tra i parlamentari e quindi sembra una corsa di testimonianza con poche velleità di successo. Non solo, Rossi, soprattutto nel caso in cui Renzi dovesse perdere il referendum e quindi ritirarsi lanciando la Boschi, Rossi potrebbe unirsi alla sinistra dem che sarebbe pronta a lanciare per la segreteria nazionale l'ex capogruppo Roberto Speranza. Un volto nuovo ma conosciuto e in grado di catalizzare tutti i voti della base dem ancora legati ai vari Bersani, Bindi, Cuperlo e D'Alema. In sostanza, se Renzi vince il referendum c'è poca storia. Tira dritto e vincerà a mani basse primarie e congresso nel 2017.

Ma se il premier perde la consultazione popolare tutti i giochi si aprono e nel giro di poche settimane si andrà alla sfida Boschi-Speranza per la guida del Pd e, di conseguenza, sulla premiership per le elezioni politiche dell'inizio del prossimo anno. Ma come si stanno posizionando i big democratici in vista della sfida congressuale? Il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, sta facendo il giro d’Italia per lanciare la corrente 'Sinistra è cambiamento', nella quale sono confluiti anche ex-bersaniani disposti a sostenere Renzi. Tra loro il presidente della commissione Lavoro della camera, Cesare Damiano, Matteo Mauri, vicecapogruppo Pd alla camera, il sottosegretario alle Infrastrutture, Umberto Del Basso De Caro, il componente la segreteria Pd, Enzo Amendola, Annamaria Carloni, compagna dell’ex governatore della Campania Antonio Bassolino e deputata Pd, Rosetta D’Amelio, presidente del consiglio regionale della Campania.

In movimento anche Graziano Delrio, un tempo braccio destro di Renzi al governo, poi passato al ministero delle Infrastrutture. Ha radunato attorno a sé i fedelissimi: Angelo Rughetti, Matteo Richetti, Lorenzo Guerini Beppe Fioroni e dopo Pasqua il gruppo (soprannominato dei cattorenziani) terrà la convention di questa corrente che si definisce renziana doc. Delrio anticipa che si tratterà di una sorta di zoccolo duro renziano, tanto che al segretario viene rivolto l'invito di ritornare alla dirompente fase iniziale, quella della conquista del partito e del governo con lo slogan della rottamazione. I Cattorenziani saranno la stampella di lusso del premier e del cosiddetto 'giglio magico', ovvero la ristretta cerchia di fedelissimi del presidente del Consiglio. Chi sono? Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Marianna Madia, Ernesto Carbone, Alessia Morani, Edoardo Fanucci, Ettore Rosato, Emanuele Fiano, Filippo Taddei, Luigi Zanda ai quali si è aggiunto Dario Franceschini. Per loro, posto assicurato nel gotha post-congressuale.

Il fronte opposto è capitanato da Bersani e Cuperlo e che lancerà, come detto, Speranza. Con loro anche Sergio Lo Giudice, Nico Stumpo, Davide Zoggia, Vasco Errani e Andrea De Maria. Ad appoggiarli, con una corrente, vi sono coloro che avevano dato vita a Carta 23 giugno (dal giorno del discorso di Giorgio Napolitano alle camere all’atto della seconda rielezione). Sono capitanati dalla deputata Elisa Simoni. Ne fanno parte tra gli altri, Francesco Saverio Garofani, Francesco Sanna. Enrico Borghi, Mino Taricco, Roberto Ruta, Gian Pietro Dal Moro, Fabio Lavagno e Sergio Boccadutri. Ma c’è un gran viavai in attesa di un assestamento perché la Simoni sta mostrando simpatie (politiche) per Matteo Orfini (che l’ha nominata commissaria del primo municipio di Roma) e quindi potrebbe portare il gruppo a condividere le sorti congressuali di Orfini, che capeggia ancora la corrente dei giovani turchi.

Infine, per completare la mappa del potere democratico, ci sono i prodiani (Sandra Zampa e Franco Monaco), i nostalgici margheritiani (Franco Marini, Sergio D’Antoni, Pierluigi Castagnetti) e i lettiani (Francesco Boccia). Viste le forze in campo, se Renzi vince il referendum non ha rivali e nel 2018 sarà ancora il candidato premier e il leader indiscusso del Pd. Ma se le riforme venissero bocciate dagli italiani, per la Boschi (comunque favorita) la sfida con Speranza non sarebbe affatto facile.

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