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Politica
Pd senza nemico e senza bussola: ecco i veri motivi della crisi

Sono stato per decenni ferocemente anticomunista ma quando, come avviene oggi, vedo il massimo partito della sinistra afflitto da beghe miserabili e a rischio implosione, mi sento quasi in dovere di trovare una soluzione; di offrirla ai “compagni”; di proclamarla dalla tribuna di un prossimo congresso cui non sarò mai invitato. Perché la caduta di qualunque cosa sia stata grande induce tristezza. Forse perché è un presagio di morte per tutto ciò che è umano. Ma in politica i sentimenti non contano niente. Il meglio che si possa fare è comprendere i fatti e adeguarsi ad essi.

Le difficoltà del Pd non sono stupefacenti. Teoricamente, anzi, se di qualcosa bisognasse ancora stupirsi, sarebbe che sia sopravvissuto fino ad oggi. Non perché abbia particolari colpe ma perché – a mio parere - è venuto meno il suo presupposto.

Tutto è cominciato con la Rivoluzione Francese. Nata moderata, monarchica e tollerante (non avrebbe potuto essere diversa, essendo figlia dell’Illuminismo) è stata trascinata dagli avvenimenti a divenire radicale, repubblicana e perfino sanguinaria. Ne è conseguito un principio nuovo e assolutamente fondamentale, se è vero che anche la Costituzione Italiana lo ha scritto nell’articolo uno: “La sovranità appartiene al popolo”. Non comanda più il re, un singolo o un gruppo di ottimati, ma la grande massa degli uomini, divenuti “cittadini” portatori di diritti. Innovazione che qualunque uomo del “basso popolo”, come io sono, non può che dichiarare benvenuta.

Ma naturalmente, come quasi ogni cosa, anche questa ha le sue controindicazioni. La massa è notoriamente ignorante, emotiva, influenzabile dalla più bassa e grossolana demagogia. Tanto che neppure un fanatico della democrazia può negarne i difetti. E uno di questi è l’avidità coniugata col sogno.

L’avidità spinge tutti a sognare di vivere da ricchi senza lavorare. Il sogno spinge tutti a credere che questo sia possibile. O almeno “quasi” possibile. Basti pensare all’ideale proclamato da Louis Blanc, “À chacun selon ses nécessités, de chacun selon ses facultés” (a ciascuno secondo le sue necessità, da ciascuno secondo le sue possibilità). Principio in base al quale io, che non ho bisogno quasi di niente, dovrei lavorare dalla mattina alla sera per un tozzo di pane e un computer, e l’esteta privo di qualunque capacità lavorativa dovrebbe pasteggiare a champagne e aragoste (a mie spese) in qualche isola della Polinesia: perché per lui quella è una necessità.

Comunque, Blanc non era un pazzo. Era un iniziatore del “socialismo utopistico” di cui un ramo si chiamerà comunismo. Il marxismo si distanzierà dal socialismo utopistico, si ammanterà di falsi paludamenti scientifici, ma in fondo prometterà ciò che voleva Blanc: il “Paradiso dei lavoratori”. Lavorare meno, abolizione di tutti i privilegi di casta e persino di cultura, ricchi premi e cotillons. Sappiamo come è andata.

Ma poco importa il fallimento storico di queste esagerazioni. Questo insuccesso non ha impedito che il principio della sovranità del popolo, col suo corredo di speranze esagerate, abbia sempre operato: col Partito Comunista, con i partiti socialisti, con la Chiesa e persino con la destra. Questa in fondo è stata sempre un socialismo autoritario e nazionalista, ma pur sempre un socialismo. Si ricordi che Mussolini è stato direttore dell’“Avanti!” e che nazista significa nazionalsocialista.

Dalla metà dell’Ottocento a oggi le società sviluppate si sono barcamenate fra questi due poli: gli ideali socialisti e le necessità indotte dalla realtà. Necessità di cui l’economia classica è la semplice eco. Per molto tempo è sembrato che alla lunga il socialismo avrebbe vinto. A poco a poco, sotto traccia o evidentemente, ma il Sol dell’Avvenire alla fine sarebbe sorto. E invece alla fine le “rivendicazioni” socialiste e i sogni dei lavoratori si sono scontrati col nocciolo duro della realtà. Un a.tro passo, e i lavoratori, invece di avere di più, avrebbero avuto di meno. La lezione dell’Unione Sovietica, una volta che è crollata ed è stato permesso dire la verità, ha calmato i bollenti spiriti di quelli che sognavano la rivoluzione. E qui comincia il guaio attuale.

Il problema del Pd non è quello del suo segretario, è che non c’è più posto per esso, nella società. Non ha più niente da ottenere e non può ottenere più niente. Si è raschiato il fondo del barile e a questo punto non c’è più spazio né per la sinistra né per la destra. Qualunque società sviluppata ha oggi un modello socialdemocratico che amministra l’esistente cercando di provocare la minima quantità possibile di guai.

Non che non ne combini ancora: ma poi è costretta a fare marcia indietro. Per esempio, il “reddito di cittadinanza”, di cui tanto si sono vantati i Cinque Stelle, è chiaramente arcaico, un dinosauro, un provvedimento sbagliato sottoposto ad un oceano di critiche. Non mi stupirei se un giorno o l’altro l’abolissero, lo limitassero, lo inglobassero in qualche altra cosa, e in ogni modo lo facessero sparire. Concettualmente il reddito di cittadinanza corrisponde alla prima metà di quella scemenza, “a ciascuno secondo le sue necessità”. Ma è appunto una cosa impossibile e comunque sbagliata.

Ecco in che senso si spiega la crisi del Pd. È un partito che ha perduto il nemico e la bussola. Per questo può allearsi anche con un superbanchiere, Mario Draghi. Perché potrebbe allearsi con chiunque (si è perfino alleato con un sotto-chiunque come il M5S). Perché siamo tutti nella stessa barca. Come Salvini non oserebbe andare contro la cassa integrazione, la sinistra non osa estendere l’accoglienza a decine di milioni di africani. O la tolleranza nei confronti degli stupratori perché “sono poveri malati di mente”.

La nostra società deve rendersi conto che non c’è più niente da inventare. Il vero modello da seguire è la Svizzera: ognuno deve sgobbare a morte ed osservare le leggi, mentre lo Stato assicura una pacifica convivenza. La Confederazione sembra il Paese ideale semplicemente perché non ha mai sognato di essere il Paese ideale e si comporta con estremo realismo.

Ogni fuga dalla realtà si paga cara. Il sogno è una cosa bellissima, ma bisogna permetterselo quando, col nostro lavoro, ci siamo già riempita la pancia.

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