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Politica
Renzi, i primi 2 anni di governo del “rottamatore”. Anche gli ultimi?

Di Massimo Falcioni

Il prossimo 22 febbraio Matteo Renzi soffia sulla seconda candelina da premier in una fase del Paese incerta, ricca di aspettative e potenzialità ma anche di diffidenza e inquietudine. L’“equilibrio dinamico” fra governabilità e riforme non produce risultati tangibili tali da allentare i morsi della crisi economica e sciogliere i grandi nodi nazionali e internazionali, a cominciare dall’immigrazione vissuta come un capestro. L’Italia si sta incartando e Renzi si gioca tutto spingendo sul cambiamento: prova ad alzare il tiro e a darsi un orizzonte verso cui dirigersi ma gli stop and go e i lacci e laccioli lo frenano e i suoi fidi attorno, invece di stimolanti risorse, sono per lo più lacchè e zavorre. Il Pd al centro, al di là del monolitismo di facciata, è corroso dal tarlo di minoranze mai dome e in periferia, al di là dei suoi migliori esponenti passati nelle istituzioni, è in mano a voraci cacicchi. Mentre l’esecutivo naviga a vista, con una maggioranza numericamente ampia ma politicamente “da cerotto”.

Per cercare consensi e alleati in patria Renzi mostra oltralpe i muscoli che non ha aggrappato al super consenso del Pd (41%) alle Europee, ma oggi in discesa attestato nei sondaggi sul 32%, con il M5S non lontano dalla scia al 27% e, a seguire, i partiti di Berlusconi, Salvini, Meloni fuori gioco per colpa di capi e capetti dediti al karakiri, incapaci di aggregare l’elettorato degli “anti” (né con Renzi né con Grillo), rintanati nel rifugio dell’astensionismo.

Dopo due anni di governo, con il 25% degli italiani che lo bolla quale peggior leader  contro il 18% che lo premia quale “migliore”, Matteo Renzi volteggia su un trapezio, fra due possibilità: se ha ancora “birra” e imprime una vera svolta con una organica riforma costituzionale che cambi la struttura e i meccanismi dello Stato in un federalismo dinamico, che inquadri in nuove forme e ruoli i partiti e i sindacati, che tolga il piombo dalle ali delle imprese, che rimetta in gioco i giovani, che faccia della cultura il volano centrale, allora può spiccare il volo, leader europeo di una sinistra col passo del gambero in cerca di identità e consensi; se il suo riformismo resta velleitario e inconcludente e la sua leadership si limita a gestire le “beghe di pollaio” sarà costretto a gettare anzitempo la spugna catalogato quale bullo demagogo, guastatore senza idee, futile nuovista, marionetta costruita e poi mollata dai “burattinai” nazionali e internazionali che hanno in mano il pallino.

Nella crisi della politica, con lo sfarinamento dei partiti ancorati alle grandi culture ideologiche del secolo scorso, coltivando il “partito personale e leaderistico” più con il manuale delle giovani marmotte che con i dettami dei progenitori del Pd Renzi aspira a interpretare le esigenze di un Paese in bilico fra resurrezione e debacle, con l’ambizione di governarlo. Missione impossibile? Già Mussolini, nel 1932, diceva che: “governare gli italiani non è difficile, è inutile!”. Passato e presente dimostrano altresì quanto l’Italia sia… “facilmente governabile”, con il suo popolo attratto dal pifferaio di turno, capace – nel mugugno - di adattamento e assuefazione, di pazienza, rassegnazione, trasformismo. Fatto sta che Renzi, facendo perno sul Paese che non molla, ci prova, quasi in solitaria, spesso alzando polveroni, puntando tutto sul proprio carisma, con in mano una spugna per cancellare il passato e indicando con l’altra la terra promessa.  

Nei telequiz della Leopolda si è sempre declamato il “nuovo” come miraggio considerando marginale la radice dei problemi politici, sociali, culturali che oggi ridefiniscono i termini dei nuovi bisogni e dei nuovi conflitti. Così, la “rottamazione” assurta a totem, strumento di rinnovamento forzato ma non sempre utile per mettere in campo le migliori forze disponibili, appare inadeguata a cogliere le esigenze e le aspettative di una realtà complessa, profondamente mutata e in continua evoluzione. Dopo la conquista del partito e dopo il blitz ai danni del plumbeo Letta per la poltrona di Palazzo Chigi, Renzi si è trovato di fronte la montagna da scalare: dietro, il passato, davanti, il futuro.  E qui, a metter mano al Paese inclinato, dentro la fine di un’epoca, la fine dell’idea stessa dello sviluppo basato sui consumi individuali in società parcellizzate, finanziati a loro volta non dalla crescita dell’economia reale ma dal debito, e quindi dalla crescita delle rendite finanziarie. Matteo ha accettato la sfida gettando via con le vecchie certezze anche i vecchi amici&compagni di viaggio e i loro “amarcord”. In questi due anni Renzi – non senza contraddizioni ed errori - ha fatto cambiare passo e direzione alla sinistra e alla politica, addentrandosi su un terreno inesplorato, nel Palazzo e fuori. La democrazia del tutti uguali, garante del futuro, legata all’aumento costante della crescita in grado di distribuire reddito si sgretola sotto l’urto della globalizzazione selvaggia.

E’ compatibile la democrazia senza crescita economica, con una spesa pubblica che taglia welfare e diritti? Da qui la crisi del sistema della democrazia dei partiti di massa incapaci di ridefinire nuove progettualità, di ricostruire il rapporto con la società e ritrovare il loro radicamento dove il pensiero e la decisione  sono demandati al “boss”, l’organizzazione è sostituita dalla comunicazione, la sezione dal social network, il barboso rapporto del segretario da un cinguettio di Twitter, dove il virtuale domina sul reale e il partito diventa comitato elettorale e affaristico. Le risposte date dai governi dopo il ko della prima Repubblica con la farsa/tragedia di Tangentopoli, sono state deboli, con le nuove classi dirigenti così male in arnese da far rimpiangere quelle precedenti. Alla televendita ventennale dell’”uomo solo al comando” di Berlusconi, al rozzo populismo leghista bossiano di “Roma ladrona” e oggi a quello razzista e xenofogo di Salvini, alla demagogia rasoterra dell’antipolitica grillina del “non si fanno prigionieri” Matteo Renzi contrappone un neo populismo dell’immaginario, fatto di riformismo liofilizzato, invasione mediatica, pioggia di bonus da 80 o 500 euro. Pil? Tasse? Evasione fiscale? Questione morale? Consumi? Giustizia? Disoccupazione? Scuola? Pensioni? Debito pubblico? Costi della politica? Sperperi? Truffe? Sicurezza? Che fa Renzi? Qualcosina si fa, qualcosina si muove.

Ma la sostanza non cambia, chi stava bene sta meglio e chi stava male sta peggio, con il ceto medio squagliato, con i lavoratori e il lavoro mortificati. Ma la barca va lo stesso, come su un “ottovolante”, con le sue falle materiali e morali ma con le eccellenze, con l’export, con i risparmi, con la genialità tutta italiana.  Meglio di niente, si dice! Bravo Matteo, il post doroteo 2.0 con la t-shirt del Che capace di dar fiato all’ottimismo e dare l’alt ai gufi e agli estremisti di ogni colore e contrada. Il refrain del “cerchio magico” renziano insiste: “Il “dotto” D’Alema e il “ragionevole” Bersani avrebbero saputo portar via voti al centrodestra, riportare alle urne delle Europee i 2 milioni di astensionisti delusi del Pd degli ex piccì, toccare la vetta del 41%? E la sinistra dei mille rivoli dei “puri e duri” fermerebbe oggi i “barbari” Grillo e Salvini?”. Certo, per battere il “tanto peggio tanto meglio”, la disaffezione e l’astensionismo non basta rivendicare l’orgoglio dei padri evocando storie e protagonisti di un passato consegnato alla storia, restando aggrappati a una scialuppa come nostalgici rancorosi rivolti solo a ieri e all’altro ieri.

Ecco la sfida. Dentro c’è la scommessa sofferta e un po’ guascona del discolo Matteo, specchio dell’Italia di eccellenze e nefandezze, padrone di un partito snaturato dove non si sa più chi entra e chi esce, premier solitario di un governo di “gnomi” tenuto in piedi da parlamentari con l’unico obiettivo di non perdere la poltrona. Il premier-segretario resta abile nel gioco di Palazzo. Ma dov’è la spinta propulsiva utile per superare i due prossimi appuntamenti elettorali di primavera e d’autunno in vista delle (probabili) elezioni politiche anticipate del 2017? Renzi dimostra disimpegno verso le elezioni amministrative, per esorcizzarle. Ma sarà quello, prima del decisivo referendum costituzionale d’autunno, l’appuntamento che dirà quel è lo stato di salute del premier, del suo governo, del suo partito. Anche i grandi, si sa, possono cadere su una buccia di banana.  

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