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Bif&st, palcoscenico acceso da Barbora Bobulova e vivacizzato da Vincent Perez
Perez Petruzzelli

Barbora Bobulova è la migliore attrice non protagonista dell'anno, secondo la giuria di critici del Bif&st, per "Il sol dell'avvenire" di Nanni Moretti. Il premio intitolato ad Alida Valli le è stato consegnato sul palco del Teatro Petruzzelli dove in mattinate aveva partecipato all'incontro dopo la proiezione del film per la quale l'attrice aveva già vinto il Nastro d'Argento.

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Dal ruolo della protagonista femminile del "film nel film" di Nanni Moretti in "Il sol dell'avvenire" si è partiti per l'incontro durante il quale ha risposto alle domande di Alberto Crespi, di Enrico Magrelli e del pubblico.

"Quando Nanni Moretti mi ha chiamato per fare il provino per il ruolo, io stavo passando un momento difficile della mia carriera durante il quale ricevevo diverse proposte che non ritenevo adatte a me, probabilmente perché ero in una fase che attraversano molte attrici giunte a una certa età. Pensate che mi fu proposto persino di interpretare una nonna! Insomma, un periodo di buio dopo il quale Nanni rappresentò la luce. Avevo già fatto due provini in passato con lui, per “Il caimano” e per “La stanza dei figlio”, e quindi non mi facevo molte illusioni. Però stavolta pensavo che quel personaggio avrei dovuto assolutamente farlo, c'erano tanti aspetti in comune con me. L'unica cosa che mi disse fu che io dovevo interpretare un'attrice un po' rompiscatole ma simpatica. A quel punto diversi colleghi mi misero un po' d'ansia, dicendomi di come Moretti fosse un regista che mette soggezione ma io mi sono trovata molto a mio agio con lui, mi sono sentita accudita".

"Ricordo molto bene che la prima scena che dovevamo girare era quella in cui io e Silvio Orlando dovevamo baciarci. "Con la lingua, mi raccomando. La lingua si deve vedere!" erano le indicazioni di Nanni. Al primo ciak si vedeva quanto Orlando fosse un po' teso ma al decimo ormai si era abituato! Con lui c’è stato poi un ottimo rapporto, non solo di complicità ma anche di sana competizione. Come si ingelosiva quando, dopo avere girato un scena, Nanni faceva i complimenti solo a me!"

Enrico Magrelli ha ricordato come Barbora Bobulova avesse debuttato nel cinema in Italia con Marco Bellocchio, da protagonista femminile di "Il principe di Homburg".

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"A quell'epoca, il 1996, vivevo a Bratislava e studiavo recitazione. Avevo iniziato a recitare a 12 anni e a 14 avevo già avuto un ruolo da protagonista in un film ceco, "Pendolari", che fu invitato al Giffoni Film Festival. Era la mia prima volta in Italia, non capivo la lingua, mai avrei pensato che un giorno sarei diventata italiana. Ci sarei tornata qualche anno dopo per prendere parte a un film per la tv e qui fui notata dalla responsabile del casting che era la stessa di Bellocchio, al quale mi segnalò giudicando che fossi adatta per il ruolo. Mi fece quindi venire a Roma per il provino che superai".

“Tornata a Bratislava presi la decisione di trasferirmi a Roma. Le persone con le quali lavoravo in teatro, dove avevo varie opportunità, mi dissero che se avessi cambiato idea non era scontato che mi avrebbero riaccolto a braccia aperte. Decisi di correre il rischio".

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"A Roma” – ha proseguito - "avevo una agente che si prendeva molta cura di me, mi fece un po' da figura materna. Mi misi a studiare seriamente l'italiano e la vostra cultura. All'inizio fu un po' dura vivere a Roma, uscivo con la gonna corta e con i miei capelli biondi e gli occhi chiari mi sentivo costantemente osservata, cosa che non capitava mai nel mio paese. Poi ho iniziato a indossare i pantaloni e a raccogliere i capelli e andò meglio”.

In Italia, Barbora Bobulova ha lavorato con tanti registi, tra i quali Carlo Lizzani ("un vero signore, sempre educato, calmo, sorridente. Mi manca molto, come mi manca Ennio Fantastichini, c'era anche lui in quel film per la televisione”), Ferzan Özpetek (“quella di "Cuore sacro" fu un'esperienza molto faticosa, avevo preso il posto di un'altra attrice e sul set ci fu parecchia tensione, ebbi diverse discussioni con Ferzan ma alla fine fui ripagata dai tanti premi vinti, tra i quali il David di Donatello”), Francesco Bruni ("all'epoca stavo con il suo aiuto regista, lessi la sceneggiatura di "Scialla!" che girava per casa e mi colpì il ruolo di Tina per il quale mi feci avanti, cosa che non mi è capitato spesso nella mia carriera").

Nell'anno in cui hanno debuttato tante attrici italiane in veste di regista, Barbora Bobulova sarebbe interessata a dirigere un film? "Non ho questa ambizione, non saprei nemmeno dove mettere la macchina da presa, mi piace il mio lavoro e vorrei continuare a farlo finché me lo lasceranno fare".

A conclusione dell'incontro, Alberto Crespi, da direttore di "Bianco e nero" ha presentato l'ultimo numero della rivista del Centro Sperimentale di Cinematografia, interamente dedicato a Nanni Moretti, con le nuove recensioni di tutti i suoi film da parte dei più importanti critici cinematografici italiani e i contributi di vari scrittori, tra i quali Alessandro Baricco e Sandro Veronesi.

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Prima di lei era toccato a Vincen Perez salire sul palcoscenico del Teatro Petruzzelli: "Sono molto emozionato non lo nego, sono innamorato della cultura italiana e in particolare del cinema italiano di ieri e di oggi". 

La star internazionale presente al Bif&st in veste di regista, ha accompagnato due film da lui diretti, "Lettere da Berlino" (2016) e il suo ultimo "Une affaire d'honneur", presentato in anteprima internazionale al Teatro Petruzzelli, dove l'attore e regista ha anche ricevuto il Federico Fellini Platinum Award for Cinematic Excellence dalle mani di Francesca Fabbri Fellini, nipote del grande regista. 

"Lettere da Berlino" è stato invece proiettato in mattinata, accolto con grande entusiasmo dal pubblico, tra cui moltissimi studenti. Sul film è stato interamente incentrato l'incontro condotto dal critico Jean Gili, durante il quale Perez ha parlato in francese, sostenuto da una traduzione.

"Io sono nato e cresciuto in Svizzera ma da padre spagnolo e da madre tedesca. Già da ragazzo, ho avvertito l'esigenza di fare delle ricerche sulle radici della mia famiglia, soprattutto sugli aspetti relativi al periodo della Seconda Guerra Mondiale. Nel tempo, la mia ricerca si è arricchita con la lettura di diversi libri e a un certo punto mi sono imbattuto nel romanzo "Ognuno muore solo" di Hans Fallada”.

Il romanzo in questione è tratto dalla vera storia di Otto ed Elise Hampel, due coniugi tedeschi che nella Berlino nazista, dopo avere perso un figlio al fronte, iniziarono a diffondere in tutta la città delle cartoline sul cui retro denunciavano gli orrori di Hitler e chiedevano la libertà di stampa.

"Nel libro ho trovato delle vicinanze con le storie dei miei nonni e dei miei genitori, anche del ramo spagnolo visto che mio nonno era antifranchista. In Germania, invece, un mio prozio fu deportato ed è morto in una camera a gas. Pensando al film, ho quindi ho avuto la possibilità di capire qualcosa di più della mia famiglia e della mia discendenza. Mi piaceva l'idea del contrasto che c’è nel libro tra la guerra lontana e la quotidianità che si viveva a Berlino, dove pure viveva una coppia che con i loro piccoli gesti, dimostravano comunque un enorme coraggio."

"Lettere da Berlino" fu presentato in anteprima nel 2016 al Festival di Berlino. L'accoglienza fu disastrosa, il pubblico e la critica tedesca non apprezzarono che avessi scelto un cast straniero, con gli attori che interpretavano tedeschi ma che parlavano in inglese. È stato il momento più difficile della mia carriera, ne ho sofferto molto. Cosi, quando il film fu poi presentato al Festival del Cinema Ebreo ad Atlanta, negli Stati Uniti, proiettato in una sala enorme, ero molto nervoso. Invece fu accolto molto bene e nel dibattito che seguì, a un certo punto chiese la parola una signora dal pubblico: "Monsieur Perez..." e si fermò, mentre io ero in grande apprensione. Poi riprese: "Cosa possiamo fare perché il mondo intero possa vedere questo capolavoro?" Mi sentii come se fossi guarito dopo essermi ammalato".

Sulla scelta degli attori: "Emma Thompson ha accettato subito, con lei si è creato un grande feeling come anche con Brendan Gleeson che andai a incontrare a Dublino dopo che l'attore che avevo previsto per la parte mi era stato 'rubato' da Steven Spielberg. Con Daniel Brühl scoprimmo che anche lui è nato da una famiglia metà spagnola e metà tedesca, una curiosa coincidenza che non si verifica spesso nell'ambiente del cinema".

"In realtà inizialmente io avrei voluto girare il film in tedesco con attori tedeschi, ma questo non fu possibile. Era accaduto che il romanzo "Ognuno muore solo", pur se pubblicato in Germania nel 1947, è stato edito in inglese solo nel 2010 conoscendo un enorme successo internazionale. In virtù di questo successo, i produttori mi hanno consentito di fare il film solo se interpretato da attori di grande notorietà che parlassero, appunto, in inglese”.

Uno spettatore dalla platea ha chiesto infine a Vincent Perez se, con questo film, considerava di avere fatto i conti con le sue radici o se sentiva di avere ancora qualcosa da raccontare al riguardo.

"Posso solo dire che dopo tante ricerche e dopo avere realizzato il film mi sono sentito più prolifico nella scrittura, dopo un periodo in cui mi sembrava di non avere molto da dire. E ora è il momento di andare avanti!”.

(gelormini@gmail.com)

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Pubblicato sul tema: Bif&st, 'Calladita' di Miguel Faus e la brava Paula Grimaldo









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