
Si direbbe il lamento di una diomedea, quello di Giuliano Volpe, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e Paesaggistici del Mibact (Ministero dei Beni, delle Attività culturali e del Turismo), archeologo, accademico italiano e già Magnifico Rettore dell'Università di Foggia, per la deriva da tempo imboccata dalla città, capoluogo della Capitanata, e dalla sua Università: che danno l’impressione di aver perso ogni traccia di Amor loci. L’intervista rilasciata a Affaritaliani.it lo testimonia, come il volo senza bussola di un uccello marino travolto dalle correnti e disorientato da un panorama culturale ormai difficile da riconoscere.

L'Università di Foggia, al centro di un presidio archeologico importante come quello della Daunia, dopo averla soppressa - all'arrivo del nuovo Rettore - persiste nella bocciatura della richiesta a più voci del ripristino della Laurea Specialista in Archeologia. Quali le ragioni di tale scelta? Cosa succede alla Capitanata che continua a fregiarsi dei legami antichi alla mitica figura di Diomede?
Uno dei primi atti dell’attuale rettore, dopo la chiusura del nostro corso di Dottorato in ‘Storia e Archeologia Globale dei Paesaggi’, che negli anni aveva attirato decine di giovani studiosi da varie università italiane e straniere, è stata la chiusura della laurea magistrale in Archeologia, utilizzando l’argomento del basso numero degli iscritti (10, che peraltro è il minimo previsto dalle attuali norme).
Un numero che avrebbe potuto tornare a crescere anche grazie alle novità degli ultimi anni nel campo dei beni culturali, e comunque non diverso da quello di altre università italiane, che ovviamente si sono ben guardate dal chiudere questo tipo di laurea. Poi per due anni, pur di fonte a nuove proposte di riattivazione, anche con tentativi di accordi con altre università, sono stati utilizzate varie motivazioni tecniche (che, volendo, sarebbe stato possibile risolvere) per bocciarle.

Quest’anno abbiamo tentato una strada diversa, non puntando ad una laurea solo in Archeologia, ma ad una laurea interclasse in ‘Archeologia e comunicazione per la valorizzazione del patrimonio culturale’, con l’intento sia di includere altre discipline e altri colleghi, sia di offrire agli studenti competenze più coerenti con i nuovi possibili sbocchi lavorativi.
Ne abbiamo parlato per mesi e questa volta sembrava la volta buona; abbiamo anche organizzato un incontro con le parti sociali, che ha visto una buona partecipazione di istituzioni (soprintendenze, musei), enti locali, associazioni, tutti a supporto della proposta; in più occasioni ci è stato detto che non ci sarebbe stata opposizione.
In realtà non mi fidavo e non mi illudevo, ma ho sperato che fosse la volta buona per una ricomposizione. Ma così non è stato. Avevo sperato che fosse sufficiente un buon progetto e il rispetto di competenze certificate. Ma in realtà forse si voleva una sorta di ‘proskynesis’ per ottenere il via libera.
L’uso di motivazioni tecniche, ‘oggettive’, è quasi penoso, quanto le spiegazioni della commissione che si è incaricata di bocciare in termini definitivi la proposta. Noto solo che tale commissione è composta da alcuni colleghi, che hanno recentemente ottenuto progressioni di carriera e da altri che ne sono in attesa, tutti strettamente legati a chi ha manifestato in tutti i modi ostilità nei confronti miei e di un’area scientifica.
Sappiamo però bene, e tutti lo sanno se solo volessero dimostrare un minimo di onestà intellettuale, che le motivazioni reali sono ‘politiche’ e non tecniche. I fatti tecnici si risolvono, se c’è la volontà politica. Avrei anzi preferito - per un fatto di dignità e di chiarezza - che si dicesse no perché si ritiene che il settore dei beni culturali non è parte delle strategie di Unifg, invece di ricorrere a mezzucci.

Mi dispiace molto, perché se la cosa danneggiasse solo me (cosa che peraltro non è, perché, com’è noto, in questo anni ho assunto incarichi nazionali e svolgo attività nel campo dell’archeologia e dei beni culturali, che certo non subiscono alcun danno da tali scelte), si tratterebbe di un problema del tutto irrilevante.
Il danno in realtà lo subiscono i nostri studenti, il nostro Dipartimento, la nostra Università e la Daunia intera. È un danno anche per un gruppo di ottimi archeologi e storici dell’Unifg, ai quali in questo modo si intende di impedire non solo una legittima progressione di carriera (ci sono ben 8 ricercatori archeologi abilitati come professori, senza alcuna prospettiva, proprio perché non c’è un’esigenza didattica: un’esigenza venuta meno proprio con la chiusura o la mancata istituzione di un corso di archeologia!), ma anche una possibilità di insegnamento e di ricerca (nelle nostre ricerche sul campo in nostri studenti sono sempre coinvolti attivamente): basti pensare che alla scorsa nostra campagna di scavi a Salapia (che recentemente ha vinto un progetto del governo USA con un finanziamento di ben 200.000 dollari), non ha partecipato nemmeno uno studente dell’Unifg ma solo quelli di altre università italiane e straniere: non le sembra un’assurdità?

Il risultato folle è che ci sono ora in Unifg ben 11 tra docenti e ricercatori di archeologia assai poco utilizzati! È ovvio che ora ognuno di noi cercherà altre strade. Lei fa giustamente riferimento a Diomede, l’eroe mitologico che portò in Daunia le conoscenze e che si integrò strettamente con le popolazioni locali, per far crescere questo territorio, potenziandone le peculiarità e i punti forza, come ad esempio la cavalleria. E questo rese ricca e grande la Daunia.
Ho sempre pensato che questa fosse la funzione dell’Università. Ritenere che tra le peculiarità e le specificità della Daunia non ci siano l’archeologia, il patrimonio culturale nella sua complessità, i paesaggi, significa non aver capito nulla della Daunia.
Ma come si fa a far crescere un territorio se non si è in grado di riconoscerne le potenzialità? Ormai prevale solo una logica quantitativa: si preferisce chiudere o non attivare lauree magistrali di qualità, per aprire corsi triennali che attraggano un po’ di iscritti. Ma così non si capisce che si decreta la progressiva morte dell’Università con il suo decadimento a livello ‘liceale’, cosa peraltro già ampiamente realizzata.

Villa di Faragola, Santa Maria di Siponto, S. Leonardo, Civita Vaccarizza, Herdonia, Castel Fiorentino, Stele Daunie e secanti ultra secolari come Appia, Traiana, Egnatia e Francigena del Sud: un corollario-rosario di opportunità, al cui radicamento nel territorio si preferiscono prospettive più "luminescenti" e prive d'identità. Effetti della globalizzazione o difetti di formazione?
L’elenco sarebbe molto più lungo. E in molti di quei siti c’è stato anche il lavoro nostro e dei nostri collaboratori e allievi. Basti pensare che nella Carta dei beni culturali della Puglia, che proprio Unifg, con me e i miei collaboratori, ha coordinato, ha censito oltre 5000 siti di interesse culturale in Daunia.
Una straordinaria e pervasiva presenza che fa della Daunia uno dei territori più ricchi d’Italia. Ma a che serve avere una ricchezza (l’Oro della Daunia, l’aveva chiamato Marina Mazzei), se non la si conosce, non se ne ha consapevolezza e non la si valorizza? Non dimentichiamo che la prima forma di valorizzazione consiste nella formazione, nello studio, nel crescita del patrimonio umano di conoscenze qualificate. Questo dovrebbe essere il ruolo dell’Università!
A questo punto non posso esimermi dal chiederle: nel contesto Accademico di Foggia, Giuliano Volpe, fa più paura o dà più fastidio?
Non saprei, e mi dispiace che la cosa venga posta su un piano personale. Io peraltro da tre anni non ho più alcuna carica, sono un semplice docente, non ho mai pensato di fare opposizione (cosa che invece c’è stata, e durissima, nei miei cinque anni di rettorato).

Avrei voluto e vorrei solo fare il mio lavoro di docente e ricercatore, e metterlo a disposizione dell’Università che ho contribuito a far nascere e crescere. Sono a Foggia dal 1 settembre del 2000 e vivo in questa città dal 2003, sono stato presidente del corso di laurea in beni culturali, componente della commissione scientifica di ateneo, direttore del dipartimento di scienze umane, coordinatore di due corsi di dottorato di ricerca, rettore dal 2008 al 2013.
Come archeologo, con la nostra équipe, in questi sono stati condotti scavi a Herdonia, Faragola, Montecorvino, Salapia, Coppa Nevigata, e fuori regione, a Alba Fucens, Orvieto, scavi subacquei a Ustica, in Francia, in Albania, ricognizioni territoriali nelle valli del Celone, Ofanto, Carapelle, Cervaro e nel territorio di Lucera. Nella nostra collana di archeologia, presso il nostro dipartimento, Insulae diomedeae, abbiamo pubblicato 30 volumi, oltre a centinaia di articoli in riviste e atti di convegni.
Abbiamo costruito un’eccellente biblioteca e attrezzatissimi laboratori. In questi 16 anni sono il solo docente, nell’Unifg, ad aver vinto per ben 5 volte dei PRIN-Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (che sono un elemento di valutazione dell’intera Università, anche per il finanziamento ordinario); l’unico PRIN con coordinamento nazionale vinto da Unifg nell’ultimo bando è quello di archeologia. Per non parlare dei progetti europei e di tanti altri finanziamenti portati a Unifg, della nascita di una spin off, di progetti in conto terzi e di consulenze, ecc. Nella scorsa VQR-Valutazione della Qualità della Ricerca dell’ANVUR, l’archeologia foggiana - dalla preistoria al medioevo - si è piazzata al secondo posto Italia e il mio settore specifico si è classificato primo. E dimentico certamente molto altro.

Mi intristisce dover ricordare questi dati, ma in una realtà, come l’Università, che dovrebbe essere la patria del merito (tanto sbandierato nella retorica di chi considera evidentemente meritevoli solo amici, figli e fidanzate), pare essere un problema parlare di queste cose.
Veniamo visti come dei ‘presuntuosi’. Ma così non è: chiedo solo di prendere in considerazione fatti e risultati accertati e documentati, e non da noi. Pensi che ancora alcuni giorni fa, mentre ero a dei convegni internazionali, alcuni autorevoli colleghi stranieri mi chiedevano non solo di lavorare insieme a progetti europei, ma anche di poter mandare i propri allievi a Foggia, perché è considerata una delle realtà più attive e qualificate della ricerca archeologica italiana e europea.
Ho avuto qualche imbarazzo nel dire che li avremmo accolti con piacere, sugli scavi e nelle ricerche non sapendo se i corsi ci sarebbe stati o no: ora sappiamo che non ci saranno più! Infine: se c’è una cosa che in particolare mi addolora è il silenzio di tanti colleghi, che o per paura di ritorsioni e vendette o per stanchezza e, ormai, anche disinteresse, tacciono e subiscono.

La Puglia come Giano bifronte: per una Daunia smarrita nel dedalo evanescente di rotte senza approdi, c'è un Salento intraprendente che fa tesoro delle prospettive da doppio orizzonte e testimonia una vivacità culturale matura e ambiziosa. È così?
L’Università del Salento ha fatto da molti anni una politica di investimento sui beni culturali e i risultati si vedono. I colleghi svolgono un lavoro eccellente.
Certo, fin da quando ero rettore avevo sperato in un vero sistema universitario pugliese (ci avevamo provato con il progetto della Federazione, ormai del tutto dimenticato): pensi che nella nostra regione ci sono ben tre Scuole di Specializzazione in Archeologia e un’altra è a Matera, mentre il mio sogno era e resta la creazione di una sola grande Scuola di livello internazionale, con la fusione delle attuali realtà.
Ma troppo spesso prevalgono logiche locali e piccole invidie, con il risultato che tutti ci perdiamo, non rendendoci conto della sempre maggiore distanza tra le Università del Sud e quelle del Nord. Solo puntando su settori di alta specializzazione e su peculiarità proprie del Sud (tra cui il patrimonio culturale, insieme ad altri, come l’agricoltura e altri ancora), e creando massa critica, si può invertire la rotta.

Dall'Osservatorio romano del MIBACT quale futuro si intravede per questa Puglia plurale e ricca di contraddizioni?
In Puglia la recente riforma del MiBACT ha portato alla creazione di tre soprintendenze, una delle quali con sede proprio a Foggia (un risultato storico per il patrimonio culturale della Daunia, di cui temo non si sia compresa l’importanza), al Polo museale regionale, all’autonomia del Marta, lo straordinario museo di Taranto, oltre a ingenti risorse. A breve si inaugurerà il nuovo Museo Nazionale della Daunia a Manfredonia, dove si è recentemente realizzata l’innovativa sistemazione del parco archeologico di Siponto. Si sta lavorando a tanti musei e parchi archeologici.

C’è una realtà con potenzialità straordinarie, come ha certificato anche l’ISTAT con una specifica ricerca. Si possono costruire concrete opportunità di lavoro. Ne parlo anche nel mio nuovo libro (Un patrimonio italiano, 2016 UTET), nel quale, tra l’altro, illustro una serie di esempi di gestione del patrimonio culturale, con un occhio in particolare al Sud.
In questa sfida l’Università dovrebbe essere in prima fila, ma Unifg ha purtroppo deciso diversamente.
(gelormini@affaitaliani.it)







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